Gangster-movie dai toni noir, affidato quasi completamente nelle mani di uno straordinariamente doppio Tom Hardy, nei panni dei gemelli gangster che dominarono Londra.
Luci al neon, night club, melodie jazz e boss incontrollabili. I ricordi dei tempi d'oro 'Scorsesiani' non affievoliscono. Al contrario, la malinconia di un'era ormai conclusa, irrompe prepotentemente nel panorama cinematografico odierno, pur manifestando la propria umiltà ed ammirazione nei confronti degli irraggiungibili fasti. Brian Helgeland, sceneggiatore de 'L.A. Confidential' e 'Mystic RIver', narra con molta calma ed insicurezza (forse un po' troppa) le vicende di due (non particolarmente) bravi ragazzi, divenuti delle vere e proprie creature mitologiche.
Londra, anni '60. Ronald (Ronnie) e Reginald (Reggie) Kray, gemelli di sangue e di spirito, acquisiscono il pieno controllo della città. Caratterialmente opposti, l'ascensione dei Kray risiede nella completezza di l'uno con l'altro. Da una parte abbiamo il "tardo" Ronnie, goffo e buffo ma crudele e brutale; dall'altra Reggie, risoluta mente dell'intera organizzazione. Il ciclo di nascita, crescita e morte (criminale) trasmette una sensazione di epicità nel racconto, le (giuste) ispirazioni a 'Scarface' o 'Nemico Pubblico' sono più che percepibili. La voce narrante dell'unica, o quasi, presenza femminile, rimanda al classicismo di un genere che, pur evolvendosi, rimane ancorato ad uno schema tecnico e narrativo dettato da maestri quali Michael Mann, Francis Ford Coppola e Martin Scorsese.
Di certo, Helgeland non possiede le capacità dei nomi appena citati, ribadendo, l'insicurezza della macchina da presa limita un racconto che potrebbe (e, in parte, dovrebbe) osare di più; la compatezza del tutto si può sicuramente annoverare tra gli elementi positivi di un regista che, in fin dei conti, è solo alla seconda fatica. I 130 minuti di durata scorrono alla perfezione, tra piani sequenza e azione ridotta ai minimi termini, lasciano il proprio spazio alla caratterizzazione delle due colonne portanti.
Il doppio ruolo, elemento "chiave" della pellicola, è stato affidato nelle mani di Tom Hardy, definito nelle ultime settimane, il nuovo Marlon Brando. Tali azzardi risulterebbero fuori luogo per chiunque; la grandezza di un attore sta (anche) nel sapersi discostare dalle doti (superiori o minori, non ha importanza) dei propri colleghi, passati e futuri. Ma Tom Hardy, essendo il mio attore preferito (insieme a Daniel Day-Lewis), necessita un discorso completamente a parte. Dopo Charles Bronson, Tommy Conlon, Max Rockatansky e John Fitzgerald, il trentottenne britannico presta il proprio volto ai gemelli Kray, regalandoci una/due delle sue interpretazioni più folli e divertenti (quasi un'allegoria della figura attoriale dello stesso, in conflitto con caratteri pazzi e...meno pazzi). Se non dall'opera in sé (che, personalmente, ho gradito molto), verrete ripagati dallo straordinario doppio Hardy. In secondo piano, spiccano Emily Browning (Frances Shea), David Thewlis (Leslie Payne), Paul Anderson (Albert Donoghue) e Christopher Eccleston (Leonard "Nipper" Read).
'Legend', parabola dalla caratteristiche classiche e formali, per certi versi, timido nel mostrarsi completamente ad un pubblico inconscio, all'oscuro di una storia affascinante quasi quanto i personaggi che vi ci abitano.
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