Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film
In epoca di imperante conformismo essere una voce fuori dal coro può avere anche i suoi vantaggi. Nel caso di Luca Guadagnino questa condizione di alterita' e' però qualcosa che va al di là di ogni convenienza e che invece dipende dalla naturale predisposizione del regista a superare i confini di ciò che è lecito immaginare. "A Bigger Splash", il suo nuovo film lo dimostra in ogni aspetto della sua realizzazione. A partire dalla scommessa di rimettersi in gioco dopo il successo di "io sono l'amore", confrontandosi con un classico del cinema francese - "La piscina" di Jaques Deray - sulla cui struttura il film di Guadagnino si modella, e soprattutto per la scelta di proporre una storia che nel suo porsi al di fuori della stretta attualità e nel ribadire la predominanza dell'istinto sulla ragione, della forma sui contenuti, della bellezza sulla logica, ribadisce l'autarchia dell'autore, ancora una volta svincolato dai parametri che almeno in Italia determinato il cotè culturale di qualsiasi forma di espressione artistica. Per non parlare del fatto di essere riuscito a mettere insieme il cast più internazionale per quello che riguarda il film italiano, con l'attrice feticcio Tilda Swinton coadiuvata da star del calibro di Raph Fiennes, Matthias Schoenaerts e della Dakota Johnson di "Cinquanta sfumature di grigio". In realtà a fronte di un impianto visivo che nel glamour dei suoi interpreti, nella fluidità del girato e nell'armonia delle sue composizioni restituisce l'idea di un cinema bello da vedere e da ascoltare (con la colonna sonora che pesca ta i classici del rock e della musica classica) "A Bigger Splash" sotto la sua colorata leggerezza è un melodramma sugli infingimenti della natura umana e sull'instabilità dei sentimenti che l'attraversano. Come dimostra l'ambivalenza dei rapporti instauratisi all'interno del sodalizio vacanziero costituito dalla coppia formata da Marian Lane, rock star musicale che ha perso temporaneamente la voce e da Paul, il suo fidanzato, a cui si aggiunge quasi subito quella formata da Harry Hawks, discografico con cui in passato aveva avuto una relazione e Penn, la figlia di cui l’uomo ha da poco scoperto di essere padre.
Mantenendo invariato l’impianto narrativo e sostituendo l’entroterra di Saint Tropez con quello di Pantelleria Guadagnino tradisce il modello francese, rendendo meno nette le differenze tra i caratteri come pure i motivi che volgeranno la storia in tragedia, anche qui come nel film di Deray, legati alla fascinazione dei presenti nei confronti di Penn, la cui bellezza acerba e conturbante finisce per rompere gli equilibri del gruppo di persone che con lei condivide le giornate nella villa siciliana. In questo modo ad essere diverso non è tanto l’intreccio della storia, che seppur con itinerari diversi finisce per arrivare alle stesse conclusioni dell'omologo francese, quanto piuttosto il tono drammaturgia che alla decadente inquietudine dei personaggi affianca una jeu de vivre che traspare non solo dal vitalismo di alcune sequenze, prima fra tutte quella in cui vediamo il personaggio di Ralph Fiennes scatenarsi sulle note deimitici Rolling Stones ma anche dalla presenza pulsante del paesaggio naturale, fotografato in maniera tale da farne sembrare i personaggi letteralmente fagocitati. Il risultato è un panteismo endemico che si alimenta delle contraddizioni stesse dei protagonisti, a prima vista lontani dalle ipocrisie tipiche della società borghese e invece, come dimostrano le reazioni di fronte ai comportamenti di Peen - lei si avulsa da ogni tipo di morale - intimamente legati a quel tipo di consuetudini. Da questo punto di vista “A Bigger Splash” costituisce la versione cosmopolita di “Io sono l’amore”, a cui lo lega lo scenario in cui si svolge la vicenda, anche qui costituito da una casa/dimora chiamata a simboleggiare l’universo culturale e sociale dei personaggi e poi la tipologia dei contenuti, ancora una volta legati alle dinamiche di una collettività le cui regole vengono messe in discussione dall'inserimento di un elemento estraneo. Si potrebbe pensare al cinema di Visconti di cui “Io sono l’amore” era debitore. In questo caso invece riconoscendo a Guadagnino il proprio marchio di fabbrica, ci sentiamo di avvicinare il film di Guadagnino al Bertolucci di “Io ballo da sola” senza dimenticare di riconoscere al regista palermitano il copyright di una Tilda Swinton che solo lui riesce a rendere così morbida e sensuale.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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