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A Bigger Splash

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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La recensione su A Bigger Splash

di FilmTv Rivista
7 stelle

La piscina di Jacques Deray, 1969: balletto d’erotismo e divismo, giallo mediterraneo che sa di seduta autoanalitica ed eucarestia dell’icona (in pasto al pubblico Delon & Schneider, coppia dal 1958 al 1963), cinéma de papa che nuota dentro la pruderie della rivoluzione sessuale. A Bigger Splash, anno 2015, ne è il rifacimento. La cover, oggi, a Pantelleria, sotto il titolo di un quadro di?David Hockney. Il quartetto: Tilda Swinton è un’altra Annie Lennox, un Bowie momentaneamente afono in pacato e gaudente buen retiro; Matthias Schoenaerts l’amorevole compagno documentarista; Ralph Fiennes l’ospite inatteso, produttore e amante di lei, colmo d’aneddoti e d’energia sessual/spettacolare; Dakota Johnson la lolitesca figlia ritrovata di quest’ultimo. E dunque che comincino la ronda del piacere e il jeu de massacre dei rimossi, le scene di lotta dei risentimenti, il bailamme dei desideri. Un kammerspiel in pieno sole, un’orgia di rancori che prevede solo due sintomi: sesso, delitto. Dei riferimenti citati da Guadagnino quello che è utile a comprendere meglio A Bigger Splash è One Plus One di Godard, fatto di sessioni di registrazione di Sympathy for the Devil e di una realtà in sommovimento, fuori dallo studio. Primo perché è un film-performance, questo, trionfo dell’arte d’attore in jam session che oscilla tra il gioco sull’icona e il rimando a mille altre, tra la febbre dell’assolo e il museo delle cere, mdp che si lascia sedurre dai gesti, si perde sui corpi, si gode sorniona un immaginario scollato dal vero, tra pose da star e turismo da cartolina. Secondo perché, oltre le mura simboliche di questo mondo addicted e incestuoso, fuori dallo spettacolo eccessivo in cui Guadagnino s’esalta, c’è la Pantelleria tragica dei migranti, dei CIE, c’è un reale che lo sguardo edonista non sa inquadrare, non sa raccontare. E finisce per incolpare. Questione di privilegio di classe.?Di distanza. Ed è un film su questa separazione, A Bigger Splash, gioia del cinema e sua crisi morale, piacere impiacentito e autocritica impietosa, dove il godimento pop lascia il posto alla farsa sciatta e rassegnata, alla necrosi sfatta del comico, all’etica dei nuovi mostri: al commissario di Guzzanti - che è un fan prima che un uomo di legge, ed è proprio questo il punto - il compito di porre la lapide sul rapporto tra reale e spettacolo. La Giustizia s’inchina alla star. La tragedia scompare dietro quel che amiamo vedere. A Bigger Splash è un film sull’essere ciechi, oggi, nel mondo dell’immagine: un film dell’orrore.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 47 del 2015

Autore: Giulio Sangiorgio

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