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A Bigger Splash

Regia di Luca Guadagnino vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su A Bigger Splash

di alan smithee
7 stelle

72° FESTIVAL DI VENEZIA - CONCORSO

"Gruppo di famiglia su di uno scoglio": corpi esposti al sole dell’estate torrida ma accattivante nei colori, così come  nella natura a tratti incontaminata di un’isola siciliana tra le più note ed apprezzate. Una rock star inglese di fama mondiale ha trovato ivi il rifugio ideale per trascorrervi periodi di riposo, e sceglie la amena costruzione in pietra con piscina e giardino selvaggio ma rigoglioso, come dimora ove trascorrere la convalescenza in seguito ad una delicata operazione alle corde vocali che l’ha resa momentaneamente afona.

Troviamo la donna, una bella, regale cinquantenne nuda sulla terrazza adiacente la piscina, in relax assieme al suo giovane compagno, una sorta di toy boy che si prende cura della padrona di casa, gestendone altresì le cure e le incombenze necessarie per trascorrere nel modo più efficiente il periodo post operatorio.

Sole e mare, un idillio in un paradiso quasi incontaminato che viene rotto dall’arrivo, irruento e senza preavviso alcuno, di una ex fiamma della donna, tempo addietro produttore dei dischi di successo della rock star, ora amico caratteriale e tendenzialmente maldestro e chiassoso: il tipico amico da vedere una sera e poi tenere a distanza.

Facendo buon viso a cattivo gioco, la coppia si reca in aeroporto a prenderlo, scoprendo che l’uomo non è solo, bensì in compagnia della figlia, che è giovane, bella e bionda e conturbante al punto giusto per non suscitare od accendere desideri impossibili…almeno sulla carta.

Tra i quattro, abbandonati all’ozio e al relax, oltre che nei ricordi, più o meno felici o gradevoli, nei pressi del solarium che circonda la piscina, si svilupperà un intreccio di sentimenti e sensazioni, incomprensioni o risentimenti, ma anche, al contrario, attrazioni incontrollabili, che contribuiranno tutte a generare reazioni incontrollate, in grado di far degenerare il clima di sospesa ed indolente sonnolenza che circonda i quattro individui.

Guadagnino, dopo il successo (soprattutto di critica) di “Io sono l’amore”, riprende il canovaccio di un noto film di Jacques Deray, La piscine, come presupposto utile ed ideale per proseguire a descriverci il mondo ovattato e vizioso, esclusivo e devastato, dell’alta società; e dunque l’ordinarietà che caratterizza la vita di tutti i giorni dei privilegiati, dei capricciosi, dei belli ed idolatrati: persone che hanno avuto tutto dalla vita e cercano di rimanere a galla, impossibilitati ad accettare anche solo l’ipotesi di perdere la priorità, oltre che le sostanze, che si sono conquistati o di cui un destino benevolo li ha resi proprietari.

Il regista esplora con una cura quasi ossessiva la nudità dei corpi belli o almeno attraenti, esclusivi, levigati o torniti dei suoi vip, e rischia nel rappresentarli come perfetti stereotipi di volti e caratteri visti o tratteggiati in mille altre, a volte esemplari ed esaustive occasioni: la star eccentrica, talentuosa, ma bisognosa di qualcuno presso cui rifugiarsi, o da cui farsi sorreggere; il manager caratteriale che non accetta una sconfitta ormai evidente legata a scelte inesorabilmente definite nel recente passato e si ostina a tornare, seppur sotto le mentite spoglie di amico del cuore; la figlia minorenne di lui, una lolita spudorata che non si cura di apparire come il perfetto clone fuori tempo massimo di una Sue Lyon del nuovo millennio, sfoderando poi fuori tempo massimo, doti e consapevolezze che sembravano ben lontane dal far parte della propria figura.

E pure la popolazione locale, le forze dell’ordine in testa (vedasi la parte del maresciallo, affidata ad un caricaturale Corrado Guzzanti) sono personaggi almeno apparentemente bi-dimensionali, macchiette tipiche di un cinema ormai inevitabilmente estinto ed improponibile; per non parlare degli extracomunitari che sbarcano sull’isola, accampati nel campetto di calcio di fronte al commissariato: perdenti che possono servire alla perfezione come copertura, individui indistinguibili come un gregge che è sempre possibile sfruttare per accusare genericamente una categoria di crimini o morti accidentali avvenute in circostanze apparentemente inspiegabili.

Guadagnino costruisce un castello di carte che parrebbe destinato a crollare al primo fiato, ma che invece si incementa nei suoi dettagli per nulla lasciati al caso, resistendo alla voglia (a quanto pare irresistibile) di essere demolito da parte di chi si lascia troppo facilmente ingannare dai facili appigli del luogo comune, tralasciando e non rendendosi conto della sottile complessità che si cela dietro tutta la ragnatela di caratteri dei personaggi coinvolti.

Alla proiezione ufficiale veneziana dei giorni scorsi, i fischi hanno superato di gran lunga gli applausi e vedono chiaramente predisposti al pollice verso tendenzialmente più il pubblico che la critica.

Ma il discorso, a mio avviso, è più sottile, più perverso, più complesso e dunque anche più accattivante di quanto ci si possa aspettare, e la soluzione dell’enigma, frettolosamente dirottata verso soluzioni facili ed anonime che non prevedono coinvolgimento da parte di chi ha lo status per scagionarsi, oltre che sviare per sempre l’identificazione di chi ha la vera ed unica responsabilità del misfatto, diviene l’epicentro di un disegno satirico che vede sempre, dall’inizio dei tempi, far ricadere la colpa su chi non ha possibilità di difendersi e contrattaccare.

Quanto al grottesco, indubbiamente pressoché offensivo, oltreché disarmante, con cui vengono rappresentati aspetti ed individui locali di una Italietta di provincia che resiste tenacemente radicata attorno alla propria inadeguata storicità, a ben vedere esso è poca cosa di fronte al cinismo e alla freddezza con cui ci vengono restituiti i nostri quattro belli, ricchi e perfetti protagonisti: la sirena spiegata del Guzzanti tutore della legge, che insegue i due protagonisti nel finale grottesco della pellicola, è una bravata di cattivo gusto, una strumentalizzazione di un ruolo e di una posizione per ottenere un innocuo favoritismo, intollerabile certo, ma di poca cosa, se rapportato ai delitti materiali e mentali che una mente frustrata può indursi a commettere.   

A Delon e alla Schneider (più Birkin e Ronet), Guadagnino sostituisce bellezze meno plateali, matematiche e invece più iconiche, imperfette ma più celebrali, che trovano nella bellezza androgina e senza età di Tilda Swinton o nelle nudità ostentate di un Ralph Fiennes in forma smagliante (soprattutto quando balla come un pazzo), i punti di forza in grado di destare più interesse rispetto alla bellezza più naturale ed indiscutibile, in quanto conferita dalla giovinezza, di cui possono avvalersi i giovani (e perfetti) Matthias Schoenharts e Dakota Johnson.

 

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