Regia di Piero Livi vedi scheda film
L'evasione dal carcere di San Sebastiano di Sassari del pluricondannato bandito orgolese Graziano Mesina, suscitò scalpore per come era avvenuta, sotto gli occhi degli altri detenuti e delle guardie.
Graziano Mesina si era allenato per lungo tempo, correndo a perdifiato lungo il cortile del carcere nelle ore d'aria, insieme a un altro condannato per reati minori, tale Miguel Alberto Asencio Prados Ponte (noto Miguel Atienza).
Alle guardie non sarebbe mai passato per la mente che i due si stavano allenando per arrivare a scalare e scavalcare il muro di cinta della prigione, saltare sul marciapiede sottostante e confondersi tra la gente che transitava a piedi e in automobile.
Era l'anno 1966, la fuga ebbe successo e i due evasi fecero perdere le loro tracce, allontanandosi dalla città a bordo di un taxi.
Per oltre un anno Mesina e Atienza scrissero una delle pagine più nere del banditismo sardo, dedicandosi ai sequestri di persona, uccisioni, conflitti a fuoco con le forze dell'ordine, sino alla morte di Atienza per mano di queste ultime, nelle campagne di Orgosolo nel 1967.
"Pelle di bandito" esce nel 1969, per la regia di Piero Livi, che sino ad allora si era dedicato alle sue fiction in formato ridotto e ad alcuni documentari.
La storia è evidentemente quella del periodo alla macchia di Mesina e Atienza, anche se in coda viene precisato che ogni riferimento a persone e a fatti realmente accaduti è da ritenersi casuale.
Eppure Ugo Cardea (nella parte di Mariano/Mesina) assomiglia moltissimo a Graziano Mesina, ne differisce solo lo sguardo inimitabile del bandito, pieno di odio verso tutti, perchè si sentiva perseguitato e condannato ingiustamente.
Livi imprime al suo racconto un ritmo incalzante e denso di avvenimenti, partendo dall'infanzia di "Mariano", passando per il suo primo omicidio e raccontando un anno di latitanza tra i dirupi del Supramonte, che vedranno sequestri di persona e numerosi conflitti a fuoco con i carabinieri e la polizia.
"Mariano" e "Pedro" (Miguel Atienza) riescono a sfuggire in modo rocambolesco alla caccia spietata da parte dei "baschi blu" inviati in Sardegna dal Ministro degli Interni, e "Mariano" riesce a tornare più volte in paese (Orgosolo) per incontrare "Stefania" (Mavie Bardanzellu), il suo grande amore.
Si lascia anche intervistare dai giornalisti e riprendere dalla tv nella sua casa, prima di consegnarsi ai carabinieri, dopo l'uccisione di "Pedro" che non aveva certo la vocazione di bandito alla macchia, lui voleva solo mettere da parte un gruzzolo per poter tornare a Madrid.
Di una cosa non sono certo non sia avvenuta realmente durante la latitanza, in uno dei rari momenti di serenità concessi al ritmo forsennato degli spostamenti da un covo all'altro tra le rocce e i boschi della Barbagia: alcuni "fiancheggiatori" e latitanti che si erano uniti a "Mariano" e a "Pedro" improvvisano un "canto a tenores" molto suggestivo. "Pedro", estasiato ed eccitato dalla particolare sonorità del canto, accende la sua radio portatile, che diffonde nella vallata la musica del flamenco, e lui balla, balla con gli occhi socchiusi, sognando la sua lontana Spagna.
Momenti di commozione, poi si ritorna alla dura realtà e al destino che deciderà di tagliare la malfatata vita di "Pedro".
Il film di Livi merita di essere ricordato, anche per la suggestiva fotografia in b/n, diretta da Aristide Massaccesi (Joe D' Amato) e per l'ottima performance di Ugo Cardea e Giuliano Disperati, nei relativi ruoli di "Mariano" e "Pedro".
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