Regia di Marielle Heller vedi scheda film
Uno sguardo dal taglio certamente femminista su una condizione che coinvolge la maggior parte delle ragazze del mondo (in maniera più o meno marcata, ovviamente), la sperimentazione e il contatto col sesso, portato spesso all’estremo e senza paura di mostrare ciò che non si vorrebbe vedere o conoscere.
Il film presenta un titolo indubbiamente fuorviante (anche nella versione originale, The Diary of a Teenage Girl), sembra rimandi a una commediucola all’americana sul disagio adolescenziale con protagonista la classica ragazzina bruttina e poco interessante agli occhi poco attenti e clementi di una società anestetizzata, ma con un gran cuore, intelligenza e simpatica. Ma così (fortunatamente) non è. C'è un elemento fondamentale che fa emergere la vera natura di questo lungometraggio anche dal titolo stesso, la totale assenza di aggettivi: il diario non è “segreto”, la teenager non viene definita “americana”, o “arrabbiata” o “sola”. Neppure il diario lo è in senso stretto, trattandosi più che altro di confidenze che la protagonista Minnie fa a un registratore a cassette, senza filtri, pudicizia o vergogna: la ragazza si fa prendere da un flusso di pensieri ed emozioni che riversa bulimicamente su nastro magnetico, senza possibilità di cancellare con un tratto di penna o un ripensamento strappando una pagina; è tutto lì, un insieme di pensieri, ricordi, speranze che delineano la figura di una giovane travolta spesso dagli eventi ma, allo stesso tempo, capace di presa di posizione.
Per questo il film non è la classica americanata, tutta zucchero e fiocchi: Minnie ha quindici anni, vive nella San Francisco degli anni Settanta con una madre drogata, una sorella minore e il compagno della madre Monroe, colui che la inizierà al sesso. Dal primo amplesso tra i due, ricordato con un flashback dalla protagonista mentre si confida per la prima volta al suo diario, le vicende si dipaneranno in maniera precipitosa, arrivando ad essere sempre più estreme e sconsiderate. Perché a quell'età il filtro del pericolo è labile, l’incoscienza predomina su qualsiasi buon senso; la tutela dovrebbe scaturire dagli adulti, che in questa pellicola sono meschini e approfittatori, in particolare gli uomini, qui dipinti come viscidi e incapaci di tenersi i pantaloni allacciati di fronte a quella che è ancora una bambina (la stessa Minnie, in una scena, afferma di essere ancora piccola a Monroe, di non comprendere le conseguenze delle sue azioni e di seguire semplicemente la sua curiosità), secondo un’ottica decisamente femminista (donna è infatti la regista Marielle Heller, e l’autrice della graphic novel da cui è tratto il racconto, Phoebe Gloeckner).
Le scene di sesso, la droga che scorre, le decisioni alquanto discutibili da parte di ogni personaggio (non ce n’è uno definibile come positivo, nemmeno Minnie stessa) rendono questa pellicola un prodotto atipico, spesso fastidioso, forse addirittura disgustoso, tale da avvicinarsi maggiormente a lavori sul disagio adolescenziale come Christiane F. o Welcome to the Dollhouse, forse a tratti anche Ghost World, piuttosto che The Breakfast Club, con un taglio decisamente underground (il film, infatti, è stato presentato al Festival di Berlino e premiato al Sundance Film Festival) e un linguaggio lontano da quello mainstream.
Ambientato negli anni Settanta, ma girato nel 2015, questo film si rifà, come già detto, alla graphic novel di Phoebe Gloeckner, che racconta con strisce fumettistiche dal tratto pulito, spesso quasi infantile ma molto netto, la sua esperienza di ragazza in quel dato periodo storico e in quel luogo specifico, che era l’America della West Coast negli anni della sperimentazione sessuale e delle droghe. L’atmosfera del momento viene perfettamente resa da una fotografia (premiata, appunto, al Sundance) sbiadita, sui toni del giallo e del blu, come una vecchia polaroid scattata e lasciata in un cassetto a ricoprirsi di polvere, e dall’aggiunta dei disegni fatti dalla protagonista stessa, che si animano e interagiscono con lei, creando un allure di psichedelia e sogno, ri-bilanciando la crudezza di determinate scene.
Un percorso di formazione che porta Minnie a una maturità tale da essere lei stessa a troncare il rapporto con il compagno della madre e a concretizzare che, per essere realizzata, deve fare affidamento solo su se stessa e sul suo talento, e non riporre aspettative su un uomo. Uno sguardo dal taglio certamente femminista su una condizione che coinvolge la maggior parte delle ragazze del mondo (in maniera più o meno marcata, ovviamente), la sperimentazione e il contatto col sesso, portato spesso all’estremo e senza paura di mostrare ciò che non si vorrebbe vedere o conoscere.
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