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Quel fantastico peggior anno della mia vita

Regia di Alfonso Gomez-Rejon vedi scheda film

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La recensione su Quel fantastico peggior anno della mia vita

di amandagriss
8 stelle

 

Non basta conoscere la storia, i dati di fatto di milioni di anni appresi asetticamente in un’aula scolastica per dirsi di avere vissuto. Non bastano i quiz di trigonometria per credere di riuscire a destreggiarsi nella vita.

Ci si inganna a pensare che si possa per tutto il tempo stare al mondo adottando un atteggiamento defilato, passivo, da perenne osservatore, senza mai passare all’azione, senza mai esporsi in prima persona.

Troppo grande e ingombrante è il timore di uscire allo scoperto, mostrarsi agli altri con tutti i propri inaccettabili difetti col fine di attirarsi, come certificata conseguenza, sgradevoli antipatie ed una serie di odiosi grattacapi che minerebbero alla propria ovattata tranquillità esistenziale.

Risulta piacevole, soprattutto per chi non è un campione di bellezza e/o di autostima, per i timidi, gli imbranati, quelli troppo sensibili, vivere nell’anonimato, sapere di essere un volto confuso nella folla, crogiolarsi in questa privilegiata condizione di ‘fantasma’ che si aggira indisturbato per le strade del quartiere, tra i corridoi del liceo e attraversare indenne l’infernale mensa scolastica dove, nel frattempo, tutti gli altri fanno a botte per conservare la propria ben definita identità e i propri sacrosanti spazi. Così operando, i ‘mister nessuno’ di questa terra non dovranno mai guardare la vita dritta negli occhi, abbandonare il proprio invisibile guscio, prendere una netta posizione, saltare nel vuoto, fare -per una volta, in un qualunque contesto- la differenza.

 

Mantenersi a distanza di sicurezza è la regola da seguire per una cauta sopravvivenza che non riservi spiacevoli sorprese e improvvisi scossoni nel comatoso incedere quotidiano. Che, alla fine, induce a rintanarsi in casa, con indosso abiti simili a larghi pigiami e generose vestaglie, e dedicarsi alla preparazione di cibi elaborati da gustare, poi, in felice solitudine.

È bene non farsi coinvolgere, non lasciarsi imbrattare dalla vita e da chi ci annaspa dentro.

È bene accontentarsi di essere la brutta copia amatoriale di quei film che adoriamo e che crediamo poter solo scimmiottare mentre vaghiamo nel nostro insensato poco affettivo cazzeggio.

Ma la vita reale, per quanto la si possa respingere, emarginarla dal piccolo un po’ squallido universo di precaria stabilità faticosamente conquistato, prima o poi irromperà furente a scompaginare i piani di un' esistenza apatica minuziosamente elaborati, a scuotere quei punti fermi e far crollare quelle insignificanti certezze grazie alle quali riusciamo a mantenerci in piedi senza troppo traballare.

Ed avrà il volto di chi mai ci aspetteremmo, anonimo quanto il nostro, e sarà carica di tutta quella grazia e terribile spietata verità di cui è fatta.

Fermarsi un momento, alzare lo sguardo dai libri, dalle consuetudini del vissuto da studente delle superiori, e spingersi oltre,

deviare la rotta prestabilita verso un (si spera) fulgido futuro per incamminarsi su una strada impervia che, sappiamo, svolterà in un buio vicolo cieco,

ritrovarsi alla fine del tragitto con in mano nulla di concreto, e quel poco che avevamo, andato in fumo,

portarci dentro un dolore difficile da gestire, a cui non sappiamo nemmeno dare un nome,

possono risultare ghiotte occasioni per nutrire il nostro spirito.

 

La vita, quando la sperimentiamo, quando nei suoi tumultuosi flutti ci tuffiamo, matura le nostre acerbe personalità, ci forma come individui, ci trasforma in esseri umani.

Meno bambocci stupidi e più uomini consapevoli.

La sua meraviglia è sotto i nostri occhi, sta a noi saperla rintracciare oltre l’evidenza che non siamo in grado di decodificare al primo impatto.

È necessario soffermarci a guardare, scavare tra le pieghe di un’apparenza che giudichiamo ordinaria, perfino banale e che, invece, nasconde inattesi universi di straordinaria bellezza.

Abbandonarsi alla vita, non opporle resistenza, può salvarci la vita.

 

La direzione agile, le interessanti soluzioni visive, la narrazione in perfetto equilibrio tra dramma e commedia, tra sentite lacrime e più di un sorriso, il tocco fresco, lieve e delicato, l’approccio mai buonista né superficiale nel tratteggiare con autenticità il complesso, difficile mondo degli adolescenti riesce a conquistare, a commuovere, a convincere.

A rendere Me & Earl & the Dying Girl (questo il titolo originale) ben più di un film ‘per ragazzi’.

Allarga i propri orizzonti, ottenendo senza fatica, anche e soprattutto, l’attenzione e tutta la comprensione e il gradimento dei signori/spettatori adulti.

 

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