Regia di Alfonso Gomez-Rejon vedi scheda film
33° TFF - FESTA MOBILE
Dimenticate, se ci riuscite, il tremendo titolo italiano appioppato da qualche incosciente ad una delle più riuscite (e premiate) commedie americane dell'anno, un aborto insensato che snatura il fulcro centrale del film, quell'aspetto che più di ogni altro rende notevole un'opera solo apparentemente leggera, arguta e spiritosa - in realtà molto più seria e realista di quanto ci si possa immaginare.
ME AND EARL AND THE DYING GIRL, pluripremiato al Sundance, conteso da molti altri festival ed accolto a furor di popolo in Piazza Grande a Locarno la scorsa estate, sa toccare, anzi sfiorare, intimità e sentimenti giovanili senza per questo farsi azzoppare da melensaggini o compiacimenti di troppo facile presa, ma anzi restando lucido, fiero e schietto, andando dritto dritto e senza pietismi al fulcro inesorabile della vicenda. Ovvero restando fermamente legati alla crudele inesorabilità dello scorrere delle esistenze...o del loro interrompersi decisamente prima del tempo.
E soprattutto regalandoci tre personaggi irresistibili, scontrosi, impacciati e a volte grevi come lo sono i loro coetanei nella vita vera, e dunque naturalissimi e soprattutto possibili.
Me and Earl rischia di divenire, buon per lui, il "Whiplash" del 2015, non perché la trama gli assomigli in qualche particolare, ma perché l'opera seconda di Alfonso Gomes-Rejon dopo l'horror "The town that Dreaded Sundown (a questo punto da vedere assolutamente), è una pellicola che, come il primio qui sopra, pure lui un successo da Sundance, risulta in grado di appassionare e sin entusiasmare, e che si avvale di dialoghi brillanti ed ironici senza per forza voler far ridere con cadenza puntuale e scontata, ma certo sorridere e compiacersi non senza rinunciare ad una certa malizia, ad un disincanto schietto che è la forza sfrontata, autentica e disarmante di molta gioventù.
E anche il ricorso ad un sottile inganno lungo il corso della vicenda, finisce per rivelarsi l'aspetto più saggio e coerente di una storia di vita in formazione, costretta suo malgrado a scendere patti con quelle che sono le drammatiche evenienze della vita, raccontate con la voglia di sdrammatizzare, visto che è necessario sopravvivere, portarsi avanti, crescere o tentare di farlo, cercando comunque di reagire: anche chiudendosi in se stessi, difendendo con orgoglio le proprie passioni non particolarmente di primo impatto (non a caso - e per questo li amiamo ancora di più - Greg e Earl sono cinefili incalliti e totalmente al di fuori del gruppo, con mire registiche amatoriali tra il folle ed il geniale che non si prestano a facili consensi di massa) senza per forza cavalcare facili entusiasmi collettivi e correnti modaiole sguaiate e senza fondamenta.
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