Regia di Kyle Patrick Alvarez vedi scheda film
Per chi ha visto già il film tedesco del 2001, Das experiment ed il suo remake americano, le dinamiche sono sempre le stesse: un ambiente deputato a prigione, guardie e prigionieri. I due film citati comunque si ispiravano a questo esperimento, famoso e fondamentale nello studio della psicologia sociale, in cui i fatti erano modificati per opportune esigenze drammaturgiche. In questo caso si è voluto dare un'impostazione più scarna ai personaggi, esaltare paradossalmente la loro "normalità" prima dell'esecuzione dell'esperimento.
Oltre a questo la freddezza della messa in scena evidenzia tuttavia la completa spersonalizzazione di tutto l'apparato che regola l'esperimento: la sottomissione progressiva dei prigionieri, il comportamento sempre più vessatorio e sadico delle guardie, l'immedesimazione stessa di chi dirige l'esperimento nel ruolo di autorità e di spingere il gioco a livelli sempre più estremi. Tutti gli individui coinvolti vengono inghiottiti nel meccanismo, che da finzione iniziale viene preso per una situazione reale.
Codici, regole e protocolli sono le uniche regole che valgono in questo ambiente ristretto e chiuso e l'obbedienza a essi giustifica ogni mezzo lecito e non per raggiungere l'obiettivo. Ambiente chiuso e autoreferenziale cancella ogni caratteristica sociale creata all'esterno. E' un altro mondo alieno alle regole esterne a cui ci si deve adeguare al ruolo dato: obbedire da una parte e far rispettare le regole dall'altra. Altro aspetto importante rispetto alle altre due pellicole è dato dal maggior realismo, pur nella finzione, della messa in scena. Non ci sono figure leader negli opposti schieramenti. Ci sono figure che spiccano ma non sono dei capobranco. Si sono semplicemente adattati più facilmente alla situazione. Vedere di cosa è capace l'essere umano, anche alla luce delle immagini di Abu Grahib, non può essere considerato, purtroppo, una sorpresa.
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