Regia di Giorgia Cecere vedi scheda film
Un posto bellissimo è la ricerca di sé: un percorso di (auto)affermazione lungo, faticoso, non privo di drammi e dolore, di fuoriuscite di coscienza e indagini identitarie. Riconoscersi e ritrovarsi attraverso l'abbandono - lento ma inesorabile, soffocato - degli sche(r)mi del quotidiano, attinenti alla sfera sentimentale, al focolare domestico, alla calda certezza lavorativa.
Luoghi dell'animo dall'appar(ten)enza serena, banale, "normale", sgretolati nelle fondamenta da sotterranee implosioni, da piccoli colpi e conflitti di crescente intensità: i desideri di indipendenza (l'iscrizione alla scuola guida per prendere la patente), l'approccio con un uomo "comune" (il direttore dell'autoscuola), la conoscenza di una ragazza che ricorda qualcuno (di importante), il tradimento del marito che si fa finta di non vedere/conoscere, l'incontro/scontro con un altromondo (il giovane immigrato venditore ambulante).
Il volto di Lucia è un paesaggio crepuscolare: l'indefinitezza e la sensibilità che ne traspaiono riflettono uno stato - un vuoto - emotivo dai toni e dai moti flebili, insicuri, mai rabbiosi o violenti. Il suo viaggio verso una progressiva consapevolezza ed accettazione (di sé, del proprio posto, della propria storia) passa infatti per fasi, momenti, fatti, gesti, scelte insignificanti, impercettibili, incomprensibili - come incomprensibile solo la realtà sa essere -, senza urla né grandi verità svelate né climax che risolvono e (di)spiegano l'insondabile.
Un sogno, forse, un tenue sussulto dell'/dall'inconscio: i fantasmi di un (tragico evento) passato mai superato - e che paiono rendere Lucia provincia depressa/di(s)messa - si lib(e)rano nell'identificazione del rimosso. L'amica morta molti anni prima, dapprima inseguita, poi raggiunta, per un pezzo di strada/vita assieme su un autobus, una domanda come tante altre («Ti devo dire una cosa»), un sorriso, uno sguardo d'intesa ed infine la condivisione del silenzio mentre strade perdute permettono di (ri)trovare sé stessa.
Sequenza bellissima e - coerentemente ed in piena armonia con quanto raccontato - priva di alcuna enfasi e arzigogoli visivi: lo sguardo è (sempre) realistico, sottopelle, sommerso nel non detto e nei silenzi necessari, ad altezza di donna.
Un bel ritratto femminile, quello costruito da Giorgia Cecere (un altro, dopo Nena ne Il primo incarico, invero, paradossalmente, più convenzionale) addosso/attorno a Isabella Ragonese, che ne restituisce tutta la autenticità, la complessità, la delicatezza, la fragilità, i turbamenti, le oscillazioni interiori.
Racchiuso in una dimensione fieramente "piccola", volta all'essenziale, scevra da isterismi di sorta e ansia da prestazione da "grandi temi", In un posto bellissimo, pur evidenziando qualche limite (nella messa in scena un po' troppo ripetitiva, nella debole costruzione del contesto e dei personaggi minori, nel finale didascalico) è opera preziosa all'interno della omologata cinematografia nazionale.
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