Regia di Giorgia Cecere vedi scheda film
"Avercelo uno normale…", sospira la sua socia (Lepore) del negozio dove Lucia (Ragonese) vende e confeziona fiori. "Tu non sei normale!", sentenzia suo marito (Boni). È tutto troppo "normale" nella vita della donna da apparirle insensato. Sfido io: con una costante mise antistupro (gonne plissettate, cardigan con colletto che spunta dal girocollo, capelli pinzati), il bel marito non ci ha pensato due volte a trovarsi un'amante (didascalica fino all'umorismo involontario la scena in cui i due ritrovano l'amplesso dopo che lei ha acquistato un indumento sexy per la notte). Come se non bastasse, Lucia si ritrova in casa anche Adenoid Android (Griffo), il figlio adolescente che parla con le adenoidi ed è meno espressivo di Wall-e (sarebbe interessante sapere in quale reparto di neuropsichiatria infantile è stato fatto il casting). La meta della donna, in una condizione sovraeccitante di questo tipo, diventa allora quella di prendere la patente prima di essere tumulata e, ancor di più, di aiutare un giovanissimo venditore ambulante (Abbaoui) che ha casualmente conosciuto all'indomani di un furto. La visita all'anziana madre (Degli Esposti) di una sua amica morta in un incidente e gli stanchi incontri con i genitori condiscono il resto della noiosissima vita della protagonista. Vita che annoia anche lo spettatore, incastrato tra trovate narrative forzate (il rapporto con l'immigrato sembra la bruttissima copia di Vesna va veloce o Welcome), scrittura piatta e personaggi pretestuosi, circondati da un'aura impalpabile, alla pari del titolo, destinato a un precocissimo oblio. Alla sua opera seconda dopo Il primo incarico, Giorgia Cecere dimostra ancora una volta quanto un'ambientazione ben studiata (la tranquilla Asti), la cifra stilistica a colori pastello e un copione scritto per sottrazione non bastino a fare cinema d'autore.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta