Regia di Lawrence Kasdan vedi scheda film
Un uomo non riesce a elaborare il lutto per la perdita del figlioletto, brutalmente ucciso durante una rapina in un fast food: si chiude in sé stesso, si concentra sul proprio lavoro (scrive guide turistiche per i viaggiatori d’affari) ed esclude il resto del mondo; è ciò che gli rimprovera la moglie, in una sera di pioggia, prima di andarsene da casa (“C’è qualcosa di ovattato nel tuo modo di affrontare le cose: è come se cercassi di attraversare la vita senza scosse”). Poi arriva Muriel, addestratrice di cani, divorziata e con un bambino malaticcio: una finta svitata, che in realtà è provvista di solido buon senso e non si scoraggia di fronte alle difficoltà. Due donne diverse, ma anche due ambienti diversi (villetta suburbana vs appartamento in quartiere popolare); in sottofondo, a fare da contrappunto comico, le vicende della sorella di lui, che a sorpresa si evolve da potenziale zitella a donna manager. Questo è uno dei film della mia vita, non posso giudicarlo in modo obiettivo. Da qualche parte ho scritto che quello di William Hurt è il personaggio cinematografico con cui più mi identifico: non per la sua storia personale, ma per il suo atteggiamento nei confronti del mondo. Macon è un tipo tranquillo, pacifico; ha un temperamento sedentario, ma è costretto a viaggiare in continuazione; vorrebbe evitare quanto più possibile di compiere scelte, ma deve fare i conti con la complessità dell’esistenza. Forse, più che Muriel, lo attrae il suo bambino e il rinnovato senso di paternità che prova a stargli accanto, a prendersi cura di lui, a difenderlo dai bulli (“Tutto bene, figliolo?”). Gli ultimi 40’, ossia da quando rientra in scena Sarah, sono sublimi; all’inizio sembra il ritrovarsi di due persone che si erano momentaneamente smarrite, poi si intravedono le prime crepe nella rinnovata armonia (“Non mi hai chiesto se sono andata a letto con qualcuno mentre eravamo separati. Non lo vuoi sapere?” “No” “Credevo ti interessasse” “E invece no”) per arrivare infine all’ultimo abbraccio, in un’alba livida, in una stanza di un albergo parigino: la constatazione che ci si vuole ancora bene, ma che semplicemente è diventato impossibile restare insieme. Non rimane che uscire in strada, abbandonare il bagaglio a mano, portarsi dietro solo una fotografia e prendere un taxi: l’ultima inquadratura è sullo sguardo di Macon, che per la prima volta sorride. [Ogni tanto mi diverte pensare che Francesca possa leggere le mie recensioni senza sapere chi le ha scritte]
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