Regia di Shirel Amitay vedi scheda film
Tre sorelle si ritrovano per vendere una antica casa di campagna che i genitori hanno regalato loro. In loco le tre ritrovano la spensieratezza dei tempi che furono, galvanizzate dal clima di distensione che la presenza di un premier carismatico può favorire. Una commedia sciocca che spreca ambientazioni geografiche e storiche importanti ed uniche.
Israele 1995: in un clima euforico favorito dalla presenza carismatica e rassicurante del premier Rabin, portavoce e fautore di un processo di pace e di mediazione tra le inconciliabili problematiche etnico-religiose che da decenni rendono i territori israeliani simili a fornaci incandescenti sempre sul punto di esplodere ed eruttare violenza, tre sorelle di nome Cali, Darel ed Asia si ritrovano nei pressi di una vecchia, ma ancora amena casa di campagna, situata nei pressi della città di Atlit, e teatro indimenticabile, almeno per le tre ex bambine, di tanti piacevoli o comunque fondamentali ricordi d’infanzia; scopo della riunione di famiglia, quello di sistemare l'abitazione per venderla, spartendosi così il ricavato.
L’occasione è anche, e soprattutto, quella di fare il punti sulle rispettive vite, sulle legittime aspirazioni di ognuna di esse, per trovarsi poi ad affrontare gli ultimi fondamentali dubbi sulla vendita di un rudere di fatto ormai abbandonato, ma in grado di far rivivere il meglio di antichi piaceri e sentimenti legati al periodo spensierato dell’adolescenza.
L’arrivo dei due bizzarri genitori non farà che creare scompiglio, e la notte dell’assassinio del premier Rabin, non farà che riportare negli animi della gente le paure che si era certi fossero state respinte ai tempi passati.
Cosa abbia indotto la sceneggiatrice ed ora pure regista esordiente Shirel Amitay a infarcire dialoghi e situazioni di tanta ilarità, spensieratezza e voglia di canticchiare, non si capisce molto, in effetti.
Chiaro che il contesto politico ante l’attentato al premier israeliano aveva indotto la popolazione ad predisporsi verso un clima di distensione che solo l’afflato di libertà è in grado di dare alla testa e risultare come una fresca ventata di ebbrezza incontenibile.
Ma qui l’atteggiamento infantile, snervante, facilone delle tre protagoniste (peccato soprattutto per la bellissima e brava Yael Abecassis, che impersona la sorella maggiore, in genere testimone e portavoce di parti ben più consistenti e mature), rovina tutto e sposta l’atmosfera che si vorrebbe ispirata, verso i territori di una farsa che disturba e risulta solo pedante, oltre che inconsistente.
Ben venga il contesto e lo sfondo ben costruito, ma poi sprecarlo per raccontarci una storiella tutta edulcorata e sbiadita, fatta di dialoghi-scherzetto piuttosto banali, se non idioti, è davvero un peccato imperdonabile, e il film si rivela solo una commedia insulsa e sciocca che sfrutta malamente situazioni e ambientazioni strategiche, per raccontarci una serie di banalità senza fine.
Tra gli attori troviamo, oltre ad Asinée Khanjian, musa e moglie del noto regista Atom Egoyan, pure il nostro (bravo) Pippo del Bono, coinvolto pure lui a disegnare un ritratto di padre eccentrico e macchiettistico all’interno di una famiglia di mentecatti davvero sconcertante.
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