Regia di Roxana Andrei vedi scheda film
L’amore ai tempi dei non so. L’incertezza è un bus che vaga per la città. Si sposta da un quartiere all’altro di Bucarest, come se essere qui anziché altrove facesse davvero differenza. Invece la storia è la stessa ovunque: si prova ad esistere, a rappresentare qualcosa per qualcuno, ma l’impresa è incredibilmente difficile. Andare in cerca dell’altro equivale a perdersi. Di fronte a questo film, così dimesso, trattenuto e semplice al limite della convenzionalità, si può restare sgomenti, chiedersi il perché di tanto affanno: perché questo raccontare senza carattere né fantasia, perché questa insistenza, da parte dei personaggi, nel mostrare il lato più debole ed avvilente del loro tormentato rapporto con la realtà. Quella flebile sconclusionatezza è forse solo la sottile impronta di un cammino compiuto lungo il confine tra due epoche, un passato che ha fatto male senza insegnare nulla, ed un futuro di fronte al quale si è come piccoli orfani, sprovvisti di certezze tramandate e di esempi da seguire. Il cinema rumeno pare essersi stancato di risorgere dalle ceneri della dittatura con l’atteggiamento di un bambino impertinente che si è svegliato male, e si diverte a prendere in giro la rivoluzione e le sue conseguenze. Magari è più saggio indugiare nel dormiveglia, concedendosi tutto il tempo necessario a riprendere le forze e chiarirsi le idee. Anche permanere nell’indecisione può essere una lezione di vita: una forma di meditazione ed un esercizio di modestia, che riveste la fase di transizione verso il nuovo di una dignità assorta e distaccata, prudente ed equilibrata. Anche i cinque racconti del film rimangono lì, a pensare chissà cosa, sospesi fra le righe di una normalità ancora sonnolenta, eppure intenzionata a riconquistare, al più presto, una piena e gioiosa lucidità. Nell’attesa, bisogna pur dire qualcosa, e qualcosa tentare di fare. Il disincanto si amalgama malamente con la speranza di riuscire, ma il gioco, per quanto maldestro e convulso, deve pur andare avanti. Così si sta insieme, per scelta, magari casuale, e senza convinzione. E senza aspettarsi che sia per sempre. La quotidianità e la precarietà si mettono continuamente in mezzo, ed è meglio continuare a girarci intorno, alla solita maniera, piuttosto che cadere nella trappola di guardare in faccia la realtà, ed arrivare alla rottura, oppure azzardare improbabili promesse eterne. Il filo conduttore della lotta alla sopravvivenza è l’accettazione dell’errore e dell’inganno: un regalo sbagliato, la palese menzogna che vorrebbe celare un tradimento, un affetto che resta ambiguo. Il segreto, per resistere a tanta indeterminatezza, è saper convivere con la distanza, che appare inevitabile, ed è, forse, l’unico motore in grado di generare la spinta verso la crescita. Per vincere la lontananza non si deve mai smettere di correre, magari senza meta né reali prospettive di successo, perché il movimento è l’essenza della vita. È impossibile ricongiungere i capi dei fili spezzati, ma si può proseguire nello sforzo di immaginarli riuniti: un rapporto finito può alimentare ancora vane speranze di riconciliazione, una vecchia amicizia illudersi di poter rifiorire e ritornare ad essere quella di un tempo. Gli autori dei cinque episodi di questo film, tutti giovani registi esordienti, sembrano concordi nel voler porre in primo piano il fallimento come trampolino di lancio per la rinascita, intesa come un percorso difficile e cosparso di incognite, ma proprio per questo potenziale fonte di sviluppi inaspettati. In quel terreno impervio, e soprattutto vergine ed inesplorato, lasciamo germogliare anche il punto interrogativo che la visione di quest’opera ha seminato in noi. Fiduciosi che, prima o poi, i suoi frutti spunteranno, carichi di sapori inconsueti.
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