Regia di Stefano Sollima vedi scheda film
La formula sex, drugs and rock ‘n roll andrebbe aggiornata a certa classe politica, invece che rock ‘n roll ci starebbe bene malaffare. Vedendo l’onorevole Malgradi in azione vengono in mente Cosimo Mele e altri, solo che qua il deputato piscia dal balcone dell’hotel e si fa lavare dalla pioggia i peccati di uomo cattolico, morte accidentale di una minorenne compresa. Non andrà così liscia, la puttana Sabrina e il losco Spadino Anacleti scoperchieranno il vaso di Pandora di Roma Suburra. Poi ci sono Numero 8 e la sua idea infantile di fare di Ostia una Las Vegas. Eppure una legge che ne permetterà la costruzione, la speculazione edilizia e la conseguente spartizione di una maxi torta - per criminalità organizzata del sud, politica, malavita romana post banda della Magliana, col benestare del clero – è in procinto di approvazione. Il governo sta per cadere e quindi bisogna approvarla al più presto. Samurai, l’ex terrorista di destra, garantisce e tiene i fili, chi bluffa salta per aria, chi non rispetta muore. Lui l’ideale lo tiene nel cuore e il suo quartier generale è un modesto baretto dietro una pompa di benzina. Ma ci sono le schegge impazzite di origine Sinti come gli Anacleti, caotici e inaffidabili. Sebastiano il P.R. fighetto perde il padre strozzato dai debiti e si ritrova ostaggio di Manfredi, il grande capo. Seba passa informazioni per salvarsi la pelle e la villa, ma pure lui verrà risucchiato dalla violenza. C'è chi come Viola non rispetta se stessa, figuriamoci uno come Samurai. La città annega nell’acqua, non si salva nessuno. Roma violenta, marcia, corrotta e insanabile. Apocalypse, now.
De Cataldo e Bonini hanno scritto il romanzo Suburra ambientandolo nel novembre 2011, in un periodo cruciale quale le dimissioni di B. (abilmente solo evocate nel concitato sottofinale) e gli intrighi che cominciano a trapelare e che porteranno alle dimissioni di Papa Ratzinger. Non dovremo aspettare vent’anni per scoprire certe verità. Un contesto perfetto per ricreare atmosfere cupe da terzo millennio. La rappresentazione della politica, dei luoghi parlamentari, delle fondazioni sono credibili e ben ricostruite. Sollima, senza fare troppa filosofia spicciola alla Sorrentino, raggiunge il cuore di ciò che vuol dire e mettere in scena, escludendo fronzoli e tecnicismi esasperati. Il regista ha stile e grinta da vendere. Inoltre abbiamo ben tratteggiati due stilemi di boss: il dimesso Samurai, meno ieratico del boss filosofo di PEREZ. ma ugualmente carismatico e vicino alla nuova tipologia di boss moderno, ben servito da un asciutto e sempre più bravo (di nuovo, come un tempo) Claudio Amendola; il feroce zingaro Manfredi, violento e amorale come Numero 8, la parte nera della malavita classica senza scrupoli, molte palle e poca testa. Ottimi Adamo Dionisi e Alessandro Borghi. Impressionante lo Spadino di Giacomo Ferrara, dal taglio e dagli occhi spiritati alla Lindo Ferretti. Il rassicurante volto della Barilla Picchio Favino è in versione politico laido, fisico da toro meccanico e ipocrita venduto a Mafia Capitale. Jean-Hugues Anglade è il prelato francese colluso e preoccupato. Alcune inverosimiglianze, passaggi imprecisi si giustificano con l’origine romanzata/romanzesca dell’assunto e dei suoi sviluppi. Sono mutuati dallo Sky Style o dalla penna di De Cataldo e/o di Rulli e Petraglia. Complessivamente comprensibili. Intriganti, perverse e vendicative le figure femminili interpretate da Giulia Elettra Gorietti e Greta Scarano. Il personaggio di Sebastiano appare poco o niente come P.R. dei Vip, è un vigliacco, un opportunista che perde nel confronto col padre (ottimo Antonello Fassari) ed Elio Germano gli dà giusto lustro, seppur nelle movenze sembra ancora colto dall’artrosi Leopardiana.
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