Regia di Stefano Sollima vedi scheda film
Una dietro l’altra le sequenze iniziali che ci introducono negli inferni di “Suburra” non servono unicamente a stabilire - nella loro voluta successione - la gerarchia di poteri e di dipendenze vigenti all’interno della storia ma anche a definire dal punto di vista visivo e quindi cinematografico, la contiguità tra i mondi diversi eppure complementari, che si appartengono come pezzi di un tutto del quale costituiscono parte integrante. Dal silenzio delle stanze papali al clamore di quelle parlamentari fino ad arrivare alle vertigini scoscese delle paludi delinquenziali, “Suburra” si immerge anima e corpo nel ventre molle della città capitolina, raccontandola come si faceva ai tempi degli antichi imperatori. Al di là dei simboli e delle allegorie, il film di Stefano Sollima conserva la medesima vocazione universale, aspirando non solo a incarnare le viscere della città contemporanea ma addirittura a diventare metafora di qualcosa di più grande; senza esagerare, o forse si, “Suburra” aspira infatti ad essere una sorta di Genesi criminale, con il peccato originale rappresentato dall’avidità degli uomini (Il politico, il ras del quartiere, il capo dei capi, e così via), utilizzato per innescare le manifestazioni del male.
Esplorando le conseguenze della violenza e del delitto, Sollima conferma un percorso da cineasta che fluttuando dal grande (A.C.A.B.) alla piccolo schermo (“Romanzo Criminale” e “Gomorra”) accetta la sfida proposta dalle contaminazioni dei nuovi formati (il film sarà distribuito sul mercato americano sulla piattaforma di Netflix) attraverso un cinema di genere e nella fattispecie di quello legato alle crime story che mette insieme il b-movieitaliano e il mainstreamhollywoodiano, cercando un compromesso tra costi di produzione (sette milioni di euro è il costo di “Suburra”) e grandiosità dell’affresco. Per quanto ci riguarda è proprio la valutazione del dispositivo messo a punto da Sollima, capace di comprendere arte e mercato, a stimolarci maggiormente; poichè non c’è dubbio che il buon esito di un prodotto come “Suburra”, programmato per aggredire i mercati internazionali, potrebbe aprire scenari inediti e altamente remunerativi per tutto il cinema italiano. In questo senso, la parziale riuscita del film, dotato di pregi (la messa a punto dei caratteri e degli ambienti) ma non privo di difetti (il processo d’astrazione operato su figure e avvenimenti delle cronache romane riesce solo in parte così come l’ibridazione tra cinema e televisione) assume un peso meno negativo in termini di giudizio. Perché pensiamo che l’efficacia di “Suburra” non abbia a che fare con l’armonia della sue caratteristiche, ma risieda piuttosto nella consapevolezza del fascino creato dalla sua affabulazione.
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