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Se Dio vuole

Regia di Edoardo Falcone vedi scheda film

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La recensione su Se Dio vuole

di MarioC
5 stelle

Sia malattia endemica, approssimazione o faciloneria di sceneggiatori con improvviso horror vacui, il discorso è sempre lo stesso. Il cinema italiano semina dubbi e miete certezze. Tenta la strada nobile (che tanti frutti diede in passato) del confronto-scontro tra concezioni ideali ed estetiche di vita e filosofia, è capace di mettere gli attori al posto giusto al momento non sbagliato, percorre strade che costringano lo spettatore/viandante ad abbeverarsi alla fonte di riflessioni di un certo peso, quindi stempera il non indigesto cocktail con manciate di melassa e fiumi di déjà vu destinati a confluire nel mare magnum del lieto fine.

La regola (non) aurea è applicata con profitto anche a Se Dio vuole, commediola che si impone temi alti (la eterna diatriba tra fede e ragione, ottimismo del soprannaturale e pessimismo del quotidiano, la necessità delle scelte non rimandabili, la progressiva accettazione dell’altro con conseguente accelerazione verso lidi di pensiero mai praticati), avendo tuttavia quale meta lo striscione di un traguardo chiamato vino e tarallucci.

 

Nel paese del Giubileo e dei paolibrosi folgorati sulla via di una Damasco sostanzialmente editoriale, forse non era possibile, al regista Falcone ed ai suoi sodali, fare di più; del resto la massima trasgressione del film è riservata ad un mostro sacro come Fabrizio De Andrè (scelta sulla cui intenzione satirica ed antifrastica è lecito nutrire più di un dubbio, nonché qualche incazzatura), mentre tutti i personaggi compiono girotondi su se stessi avendo quale stella polare una prevedibilità più che abbozzata.

 

E’ un peccato, poiché alcune scene divertenti ci sono, gli attori, si diceva, risultano in parte ed in palla (ottimi gli scambi e la chimica fraseologica tra il gigante Giallini e il faccia da schiaffi Gassmann, mentre qualche riserva la si può lecitamente nutrire per una Morante che ormai replica se stessa e le sue mutrie esistenziali, vittima di script che ne colgono soltanto la essenza nevrotica e nevrotizzante, sorvolando su una discreta e possibile morbidezza di forme e carattere), la prima parte scorre via placida eppure piacevole. Poi, a contatto con il trascendente (o divino che dir si voglia), il film si sgretola, arranca impazzito alla ricerca di una quadra che preservi i proverbiali capra e cavoli. Il colpo di scena drammatico nel finale è soltanto il pretesto per ribadire (sai che novità) quanto la vita sia bella e degna di essere vissuta. Anche se gli uomini, come le pere, sono irresistibilmente caduchi.

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