Regia di Courtney Hunt vedi scheda film
I giochi sono già stati fatti, quando la macchina da presa inizia a insinuarci tra i tavoli dell’aula processuale che accoglie un giovane 17enne accusato dell’omicidio volontario del proprio padre, trovato accoltellato al petto proprio davanti a lui.
A difenderlo un determinato avvocato che, essendo un amico della facoltosa famiglia del morto, si impegna a cercare ogni appiglio per rimettere in discussione un verdetto dagli esiti ormai prevedibilmente già annunciati.
La condanna del giovane è palese, tenuto conto che questo non confessa, né si scagiona, quanto piuttosto si chiude in un inesplicabile silenzio omertoso che costringe il suo legale a procedere ad una difesa “a tentoni”.
Nel contempo, poco per volta ed organizzate in modo da cercare di sfruttare un minimo di suspence, emergono particolari riguardo a quella famiglia facoltosa composta da un ricco uomo d’affari sempre in viaggio, una bella moglie bionda sempre sola, ed un figlio che si divide tra college e viaggi assieme al padre.
Piccoli ma tutt’altro che trascurabili particolari tratteggiano poco per volta, da ricordi fulminei, flash back e lampi di memoria rimossi o celati, dettagli di una situazione familiare tutt’altro che idilliaca in capo alla famiglia agiata ed ufficialmente serena e realizzata, accentrando sul morto particolari sempre più evidenti di un suo abituale comportamento fedifrago giudicato insostenibile agli occhi del figlio, testimone involontario durante i sempre più frequenti viaggi d’affari dell’uomo a cui prendeva parte, per diletto, il figlio.
Thriller processuale “a porte chiuse” che si inserisce in un filone cinematografico fitto e popolato talvolta anche di capolavori (Testimone d’accusa di Billy Wilder su tutti), o di blockbuster realizzati con grande senso del ritmo e della suspence (penso all’ottimo Doppio Taglio di Richaed Marquand, con la coppia eccelsa Glen Close/Jeff Bridges a metà anni ’80), La doppia verità gioca sin troppo su quanto già preannuncia il titolo, ovvero i sotterfugi maniacali e molesti che tengono lontana la giustizia dalla vera realtà dei fatti, cercando di giostrare meglio possibile il tempo (invero assai lungo e prolisso) che separa l’incipit sulla scena del delitto, con la soluzione a sorpresa del caso.
Nel mezzo ci troviamo accanto ad un protagonista Keanu Reeves un po’ fiacco e dimesso, quasi annoiato, e ad una suadente, ma assolutamente irriconoscibile Renée Zellweger, vittima di una revisione estetica che non si può dire mal riuscita, ma di certo in grado di trasformarla in qualcosa di diverso da cui è stata, nel bene come nel male.
Nel ruolo del defunto, James Belushi, ex buontempone comico, ora colosso dall’aria temibile se non poco raccomandabile, manifesta quella aurea animalesca e selvaggia, a tratti inquietante, che verrà parimenti ripresa, ma con esiti decisamente più eclatanti, in occasione della sua fulminea ma non dimenticata partecipazione in Twin Peaks – parte 3 di Lynch.
La regia di Courtney Hunt, che rimpiangiamo ai tempi del suo straordinario ed unico Frozen River, fa quello che può per incalzare lo spettatore, ed anche il finale a sorpresa multipla viene studiato a tavolino per dirci tutto, ed il contrario di tutto, proprio come in Doppio Taglio, ma con esiti decisamente tempi felici.
Di fatto "Una doppia verità" rimane un thriller da camera non ignobile, che si prodiga a raccontarci la sua storia senza troppi entusiasmi, nonostante i sussulti di una sceneggiatura che procede a scatti, tra momenti sospesi o proprio morti, e scatti adrenalinici sin troppo calcolati a tavolino.
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