Regia di Sergio Castellitto vedi scheda film
Un film non finito. Forse già visto, o mal seminato. Ma, che, sino all’ultimo, insegue tenacemente la gioia o il dolore di poter scrivere la parola fine. Il dramma del vivere quotidiano è la sconclusionatezza, che non chiude la parabola del sogno, ma nemmeno la mantiene veramente aperta. La lascia, semplicemente, vivacchiare ai margini, come un vagabondo fermo ad un semaforo, che resta in attesa che la luce cambi colore, ritmicamente, in modo sempre uguale, senza una possibilità di vedere davvero cambiare qualcosa. La vita matrimoniale di Gaetano e Delia è scandita dall’intermittenza dell’umore, tra lo scatto del pensiero positivo che potrebbe salvare, e la ricaduta nell’amara fatica di dover andare avanti anche se non piace. I figli sono fonti di impegni e problemi, ma sono soprattutto il nucleo misterioso su cui si addensano le nubi dei conflitti più diversi, dalle questioni educative a quelle più strettamente pratiche. Le grandi domande restano fuori dalla porta, esattamente come i sentimenti importanti, che sembrano soffocati dall’incertezza sul proprio modo di essere, di oggi e di ieri: un’inquietudine di fondo su cui grava il peso di genitori troppo stravaganti, troppo assenti, troppo difformi dalla tradizionale immagine, dipinta nei colori caldi e antichi dell’affetto familiare. Il tempo fa la differenza: interviene, molesto, a porre interrogativi sui ricordi irrisolti (la causa di un’anoressia, l’origine di una condizione sociale), e, soprattutto, si trasforma nell’immensa incognita di un futuro, ancora inimmaginabile, che deve essere costruito via via sulla base di un presente che non si capisce. Prima si segue l’estro del momento – quello che fa innamorare ed alimenta smisurate illusioni – e poi ci si lascia condizionare dalle necessità contingenti, che sbarrano la strada, tracciando un percorso obbligato attraverso un mondo dal quale ci si sente sempre più esclusi. Gaetano e Delia esistono, come marito e moglie, come padre e madre, unicamente all’interno del circuito domestico, risultando ormai estranei allo spirito alternativo che aveva animato la loro gioventù, e che, inizialmente, sembrava poter essere il motore di una vera fuga liberatoria: sposarsi, a dispetto di ogni logica, diversi com’erano, buttando all’aria tutti i piani, per arrivare ad essere veramente se stessi. La coppia, col passare degli anni, si trasforma in un’unione in cui le differenze, anziché fungere da stimolo e da collante, finiscono per costituire motivi di scontro tra lui, che non smette di coltivare i suoi ideali artistici e le solite velleità professionali, e lei, che è ormai solo un’anonima compagna, e ben presto esaurirà anche il suo ruolo di amante. Il film si arena su un contrasto che ne blocca lo slancio: lui che vuole continuare a scegliere, lei che non può più. I flashback si rivolgono ai frammenti di un’armonia perduta, in cui tutto era romantico e fatuo, però funzionava. Adesso che la macchina si è inceppata, ci si stanca anche a raccontare la noia. Il sassolino nell’ingranaggio non fa che stridere, consumando energie, togliendo fluidità al discorso, opacizzandone la superficie. Il caos si è ridotto ad un trascinato macinio di detriti: solo la parola sembra aver conservato la sua melodica brillantezza, attingendo alla poesia quell’anima saltellante e ribelle che si fa carne, nell’ultima scena, nella figura di un uomo maturo (Roberto Vecchioni) mai arresosi, né all’età, né alla malattia, né alla morte. Manca il messaggio promesso dal titolo, è vero: la filosofia non trova spazio negli angusti meandri di una storia che non conosce se stessa, che non si è mai guardata allo specchio e – contrariamente alla protagonista femminile, nella sequenza d’apertura – non si è mai vista nuda. Si fa strada l’impressione che, in mezzo a tanti singoli pensieri, il concetto unificante si sia perso di vista. Ma il punto è che non c’è mai stato: il crescente smarrimento lo ha tenuto lontano. Forse, del resto, non valeva la pena di dare un nome alla cosa: l’essenziale era solo riuscire, in un modo o nell’altro, a dirsi addio.
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