Regia di Sergio Castellitto vedi scheda film
Sul finire, tra vicoli e piazze d'una Roma illuminata a notte, così chiosa Roberto Vecchioni, "guest star" fin prima silente ma scaltramente "presente": «E se fossimo tutti sogni che qualcuno sogna? ... E se fossimo tutti pensieri che qualcuno pensa?». Per poi concludere: «Hey, ragazzi ... Nessuno si salva da solo!».
Chiedersi chi possa salvarci da siffatto film, è reazione tanto automatica quanto inutile (scenderemmo al loro stesso livello, oibò).
Puntuale come le tasse, come la morte e come le banalità, l'ineffabile duo Mazzantini-Castellitto si produce nell'ennesimo irrinunciabile campionario di riflessioni illuminate ruminanti di tutto di più.
Ridondante non rende l'idea, non abbastanza almeno. Eccessivo nemmeno. Ridicolo un po', giusto un po'.
Riassumendo: crisi di coppia, una cena per farli mettere d'accordo sull'organizzazione delle vacanze dei figli ma che in realtà è un viaggio a ritroso nei destini e nelle scelte di Delia "la psicopatica del cazzo" e Gaetano "il tamarro" (ogni qualvolta così lo apostrofano, chissà perché, in sala la gente sghignazza, e mica poco). L'incontro, la passione, il matrimonio, i figli, le fratture insanabili, la separazione.
Per carità, niente di sconvolgente (né di originale: dopotutto l'autrice stessa fa sentenziare a uno dei personaggi sull'abilità di saper rubare concetti e lavori altrui). Solo che. In circa un'ora e quaranta di lenta, agonizzante visione, ne succede di ogni, se ne dicono altrettanto, e nel frattempo un'inspiegabile aura intellettuale (autoproclamata, eppure in molti ci corrono dietro) sotterra storia, personaggi, estetica, morale. I vermi della putrefazione "artistica" possono dunque sognare banchetti prelibati.
A occhio nudo, il cadavere filmico presenta una notevole quantità, spropositata, di interventi perlopiù rispondenti alla logica dell'accumulo, dell'urlo, dello sbattere in faccia. Ahia. Un elenco, che non intende essere in alcun modo esaustivo ma soltanto esemplificativo, conterrebbe temi quali i disturbi alimentari, la violenza sui figli (depressione post post-partum? balle girate? crash test?), la "stranezza" e sensibilità di uno di loro (che forse è/sarà omosessuale), l'aborto, il ruolo dei genitori (quelli di Gaetano, hippie romanacci dalla battuta pronta; la madre di lei, una vecchia ubriacona irresponsabile), gli scontri generazionali (del tenore: «noi ci siamo battuti per quello in cui credevamo!» «e c'avete lasciato nella merda»), le accuse e i tradimenti reciproci, le ipocrisie di certo mondo cultural-impegnato (toh!).
E quale mai saranno le modalità di rappresentazione? Semplice. Gli enfatici momenti musicali (sbagliati-sbalestrati e come minimo stridenti, per quello che può valere ... ma pure Tom Waits, povero!), l'incontenibile profluvio citazionista per darsi "un tono" (nel frullatore finiscono, tra gli altri, Dostoevskij, Luis Buñuel, Mike Tyson, Lucio Dalla, American Beauty e Il grande freddo), che porta anche alla strategica presa in giro di facilissimi bersagli (la "fauna" cine-televisiva, che nasce idealista ma campa di compromessi).
Oh, sì, e le dannatissime scene madri: non si contano, davvero, assemblate tra isterismi parossistici e francamente risibili, siparietti da talk show, e scene urlate/urlanti che lasciano di stucco. O di mascara.
È tutto così costruito, inautentico, che finanche una banalissima scena (l'allattamento di mamma Trinca al bambino prima e al marito poi) è realizzata malissimo rivelando scopertamente la fasullità (l'inquadratura passa maldestra da poppe materne al petto non certo da maggiorata della protagonista senza essere in grado di non svelare il "trucco").
Un film, Nessuno si salva da solo, in cui non si salva nessuno (compreso chi si lascia andare a 'ste battute facili facili). Manco gli attori. Di Jasmine Trinca, peraltro bravissima (altrove, sebbene qui a tratti dimostra le sue capacità e s'impegna, ma è impresa impossibile "nobilitare" 'sta roba) rimarrà solo il (piacevolissimo) ricordo del suo munifico offrirsi come madre natura l'ha fatta (molto, molto molto bene; altra indispensabile riflessione, eh); mentre di Scamarcio, boh. Mah. Mpf. A dovergli dare per forza un giudizio, sarebbe "s.v.": senza voto, per quanto cerchino in tutti i modi di fargli fare il simpatico (leggi: "tamarro"). Simpaticamente non pervenuto, o subitaneamente mandato all'oblio.
Visione straziante.
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