Regia di Paul Feig vedi scheda film
Da indimenticabile caratterista in Le amiche della sposa a coprotagonista in Corpi da reato, Melissa McCarthy è star assoluta di Spy, suo terzo film con Paul Feig (il primo anche scritto dal regista di scuola apatowiana). E, nonostante l’apparato promozionale voglia prometterci grasse risate ai danni di un’imbranata e sovrappeso signora di mezza età, costruisce tutto l’impianto comico sul ribaltamento dello stereotipo: Susan Cooper è occhio, cervello, GPS e sesto senso che, da uno scantinato di Langley, muove le mitiche gesta del belloccio agente CIA Bradley Fine (un Jude Law in Bond-forma smagliante). Si sottostima e si autosabota («Donne!», sbuffa con sdegno l’impeccabile boss Allison Janney), finché la presenza di una talpa non la costringe a scendere in campo, adottando come copertura la maschera che (più o meno) tutto il cinema (e il mondo) riserva alle rotonde ultraquarantenni: gattara, malvestita e con le emorroidi, sembra «la zia omofobica di qualcuno», per dirlo con parole sue. In un’opera in cui tutto il cast sovrarecita con divertimento la parodia dei ruoli da spy movie (Jason Statham, machissimo e incapace, è il più esilarante), McCarthy cammina (corre, salta, guida, fa a botte) su un registro di pacata e professionale semplicità, indossando il proprio sboccato e manesco personaggio solo come un ulteriore alias da agente segreto. Si ride tanto e bene: evviva!
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