Regia di Paul Feig vedi scheda film
Il corpo comico Melissa McCarthy - l'indimenticata Sookie St. James di Gimore Girls - galleggia leggiadro sulla superficie appesantita dell'ennesimo parodico degli spy movie. Filone che già quest'anno ha visto sbarcare sugli schermi italiani il britannico Kingsman - Secret Service, alla quale Spy non si avvicina nemmeno lontanamente (per idee di regia, senso del ritmo, messa in scena, concezione della violenza, uso del sonoro, schizzi di politicamente scorretto che animavano l'opera diretta da Matthew Vaughn).
Paul Feig, regista e sceneggiatore - all'attivo una serie di commedie trascurabili ma anche il notevole, scorretto e acido Bridesmaids - imposta i comandi su un'unica modalità: mettere la McCarthy - agente CIA (e già qui si ride, eh!) sfigata e non esattamente con il physique du rôle che la posizione da sempre richiede - in situazioni "pericolose" tra 007 e Mission Impossible. Virate su un registro sempre farsesco, idiota e inverosimile all'ennesima potenza. Ma non è questo il problema (né potrebbe esserlo): lo è, semmai, il fatto che il giochino non produce chissà quali gag esilaranti (si salvano pochi momenti, generalmente trascinati), stretto com'è in una morsa che da un lato presenta i paletti "prudenziali" di esigenze commerciali e dall'altro, evidentemente, i caratteri di una modesta ispirazione.
L'effetto è un po' come quando si ascolta una storiella non particolarmente divertente: quasi ci si sente in obbligo di trovarla tale, ma non è certo fra quelle che ti provocano una sonora, grassa, liberatoria risata. In Spy l'umorismo viene incalanato quasi esclusivamente sui binari narrativi ed estetici che attengono perlopiù alla barzelletta, al singolo spunto comico: uniti - e reiterati, strascicati - gli spunti ecco (de)composto il puzzle-film nel quale la protagonista si muove goffamente sforzandosi a tutti i costi di rendere simpatico personaggio e vicenda, di elevare il tasso di spasso.
S'immagini quale sia, il reale livello di divertimento, se il copione è poco più che un pretesto (una volta trovata l'idea "geniale" ... what else?), se la regola fondamentale è come ripetere gli elementi dello schemetto senza farsi troppe domande, se va bene tutto (ratti, vomitate, scazzottate, sterili battute su ciccioni e gattare) purché si rimanga sul vago e inoffensivo, se tanto basta infilare la McCarthy in condizioni di contrasto (elementari: accoppa come un seal, rivaleggia con la bellona Rose Byrne uscendone trionfante, dà lezioni di morale e fisicità a chiunque gli capiti a tiro) che poi ci pensano lei e il suo simpatico faccione.
Ulteriore aggravio l'allungamento della narrazione (vizio di molta recente produzione leggera a stelle e strisce): le fasi di stanca si avvertono e pesano.
Eppure, in cotanto piattume, un elemento che spicca e che - dannazione! - avrebbe meritato maggior risalto (tanto da spostare ad un più consono ruolo di spalla, o come parte di una coppia, l'attrice protagonista) c'è, e porta il nome di Jason Statham. Il ragazzo - buon ultimo nella schiera di pezzi d'action muscolare passati o almeno transitati per le vie infinite della commedia - si rivela sorprendentemente a suo agio: non si sa come, ma tiene il piglio duro e serioso, stolido, mentre blatera una serie impressionante di sciocchezze da cazzaro professionista (le uniche cose buone dello script). Credibile, malgrado l'evidente stoltezza (delle sue parole stampate su fiera espressione ottusa), e sempre ficcante. Insomma, ne vorresti di più.
Invece tocca sorbire il solito canovaccio, subire uno stereopatissimo "italiano" che fa l'italiano, farsi passare per simpatica la comparsta inutile di 50 cent, aspettare il prevedibilissimo finale giubilante e alzarsi dalla poltroncina con la limpidissima certezza che dopo qualche giorno il film appena visto cadrà nell'oblio.
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