Regia di F. Gary Gray vedi scheda film
N.W.A. - Straight Outta Compton (Audio)
Una delle cose più belle rispetto alla visione di un film è lasciarsi stupire.
Lo stupore può venire in tanti modi.
Anzitutto quanto all’oggetto (il “soggetto”) trattato, ovvero non conoscendo l’argomento, neanche una briciola, e cogliendo ogni attimo di pellicola come una sorpresa (auspicando, chiaramente, che si tratti di una felice sorpresa).
Poi viene in rilievo il contenuto, la trama; magari ci si aspettava che la storia prendesse una certa piega e invece volge altrove, anche in maniera molto vistosa.
Last but not least, la tecnica, la veste del film: le inquadrature, i tempi, le pause e le accelerazioni, i filtri ergo i colori, l’atmosfera, le persone, volti e corpi, gli occhi, le parole, i suoni i temi musicali… l’elenco potrebbe essere infinito. Ogni film ha il suo tratto distintivo e magari propone la sorpresa dove meno te lo aspetti, mentre rassicura lo spettatore per tutto il resto.
Venendo a Straight Outta Compton per me, è proprio uno di quei casi dove domina la sorpresa.
Lanciato sullo schermo di casa quasi per caso, mi ha catturato subito la traccia; le sue atmosfere gangsta rap della West Coast di 30 anni fa, circa, a me abbastanza familiari per via degli echi che ne giungevano durante la mia infanzia (e poi adolescenza). Trovandomi quindi con piacere in un habitat fatto di sinfonie familiari, provocatorie ed accattivanti, nonché volti e nomi conosciuti, mi sono lasciato trascinare indietro nel tempo con vero piacere: così ho ritrovato Ice Cube, che raggiunse fama planetaria giovanissimo in Boyz n the Hood e poi anche in seguito disseminò tracce su dischi e pellicole; ma anche il leggendario “Dr. Dre”, padrino discografico di metà dei rapper d’oltreoceano (fra cui Snoop Dogg e l’indimenticato 2PAC, oltre a tutti gli altri), ma passando anche per il meno noto (a me) Eric “Eazy-E” Wright, la cui parabola professionale e di vita è stata altrettanto fondamentale per tutto il circondario.
Sorprende anche un episodio veloce, ma incisivo, come la scena iniziale dell’irruzione della polizia nell’abitazione degli spacciatori addirittura eseguita con un blindato dotato di testa d’ariete (!!); qualcosa di mai visto (per me), che vuole alludere ad una storia di forte impatto.
La marcatura di denuncia sociale delle violenze della polizia, all’epoca sempre rimaste impunite anche in sede giudiziaria, passa, invece, in secondo piano e non poteva essere altrimenti. Il gangsta rap non è mai stato, a mio modo di vedere, un genere di denuncia, ma una deriva musicale che ha cavalcato il disagio, dietro un mero dito d’accusa. Nessuna sorpresa in questo.
Così come non domina la sorpresa nella tecnica di F. Gary Gray (Il negoziatore, The Italian Job), che rimane comunque assolutamente corretta per il tipo di narrazione… ma qualche prova di bravura si lascia apprezzare lo stesso; godevole, ad es., il piano sequenza nella camera d’albergo pullulante pulsioni ormonali in spregio dei malcapitati fan di sesso maschile.
Le tre stelle condensano abbastanza bene il senso di moderato, compresso apprezzamento suscitato, per i motivi soggettivi di cui sopra, dalla visione di un film “explicit”, (s)corretto (per il genere) come questo.
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