Regia di Giacomo Gentilomo vedi scheda film
Maria viene accusata ingiustamente di un omicidio. La ragazza si trovava in realtà per caso sul luogo del delitto, ma il pubblico ministero non vuole sentire ragioni: per lui Maria è colpevole. L'uomo ignora che però si tratta di sua figlia, da lui creduta morta neonata. A risolvere il tutto arriva la confessione spontanea del vero assassino.
Melodramma fuori tempo massimo, quando ormai uno dei generi cinematografici più popolari degli anni Quaranta era del tutto declinato nei favori del pubblico, surclassato dalle novità realiste. La trovatella di Pompei trasuda falsità, come un fotoromanzo senza alcun appiglio concreto con la realtà quotidiana: tutto è esasperato nella trama e persino la risoluzione è un'esplosione - più fracassona che fragorosa - di amena inverosimiglianza. La sceneggiatura di Giorgio Costantini, Antonio Ferrigno, del regista e di Alfredo Polacci (anche autore del soggetto) parte con qualche vaga affinità con Praesidenten di Carl Th. Dreyer (1919): una ragazza ingiustamente accusata di un delitto, che finisce nelle mani di una giustizia affidata al suo vero padre; da qui in avanti però le trame delle due pellicole divergono totalmente, con gli oltremodo differenti risultati che si possono immaginare. Giacomo Gentilomo, attivo dietro la macchina da presa da ormai due decenni, era d'altronde solito a questo tipo di mediocri operazioni; la confezione del lavoro è appena sufficiente e gli interpreti adottano una recitazione retorica adatta a rendere ancora più distante la rappresentazione sullo schermo dalla realtà quotidiana. Nel cast: Alessandra Panaro, Massimo Girotti, Tecla Scarano, Tina Lattanzi, Carlo Giustini e il giovane Antonio De Teffè, più tardi noto come Anthony Steffen in numerosi spaghetti western e altre produzioni minori; particina anche per un altro volto emergente di futuro successo: Franca Bettoia. Nel 1957 Gentilomo girava anche il peplum Sigfrido. 2,5/10.
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