Regia di David Gelb vedi scheda film
Se la paura ha a che fare con il subconscio non bisogna meravigliarsi che il cinema la rappresenti attraverso immagini claustrofobiche, chiuse a qualsivoglia orizzonte e realizzate in spazi concentrati. Un'estetica che è divenuta il marchio di fabbrica della Bloomhouse Production, casa di produzione nota per aver firmato alcuni degli horror più interessanti degli ultimi anni (Insidious, Sinister) e in questo caso responsabile di "The Lazarus Effect", realizzato secondo criteri che puntano a trasformare i limiti delle proprie risorse finanziare nel punto di forza dell'intera operazione. Alla cui base c'è l'idea che sta al centro della vicenda, e cioè la possibilità di riportare in vita i morti, e soprattutto la responsabilità, etica e materiale che tale consapevolezza può comportare. E poi la storia, incentrata sull'equipe di scienziati, decisi a impedire che l'inquietante scoperta finisca nella mani dei cattivi e per questo, costretti a sperimentarne l'efficacia su uno dei membri della squadra.
Detto che "The Lazarus Effect" si allinea ai criteri utlilizzati dagli altri film della scuderia, essendo girato esclusivamente in interni e con location limitate al minimo indispensabile, bisogna dire che nello specifico a venir meno non è la mancanza di originalità del tema - ancora una volta attraversato dal senso di onnipotenza dell'uomo che si fa Dio e che per questo deve essere punito - ma della sua messainscena, tanto scontata quanto priva di immaginazione, anche in ragione di una regia che non riesce a imprimere al film un pizzico di personalità. All'assenza di partecipazione per la sorte dei personaggi concorrono anche le performance degli attori, anonime anche nel caso di un' attrice come Olivia Wilde che, dopo gli infelici esiti di "Third Person", si conferma in senso negativo.
(icinemaniaci.blogspot.com)
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