Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
"La libertà non è uno spazio libero.." (G.Gaber)
Che il cinema di Thomas Vinterberg non sia mai stato troppo legato ai dettami stilistici di Dogma 95 di cui è uno dei fondatori è stato dimostrato (ad eccezione di Festen, l’apprezzato film d’esordio) con i suoi lavori che pur rimarcando una buona base drammaturgica non disdegna mai una forma piuttosto curata dentro un registro narrativo predeterminato. Uno schematismo che ha il difetto di non far partecipare troppo lo spettatore lasciandolo fermo al suo punto d’osservazione ma anche con il pregio di saper documentare con una certa lucidità situazioni particolari. In La comune il regista si pone in una giusta via di mezzo, a partire dal linguaggio diviso tra la commedia sarcastica e il dramma umano che ripercorre alcuni momenti autobiografici di Vinterberg, fino alla rappresentazione in sé dove l’ambiente scenografico diviso tra vari protagonisti cede il suo ruolo di congiunzione e di rielaborazione in favore del dramma analitico più personale. Il suo sguardo si muove sull’asse della maturazione della giovanissima Freja che osserva i protagonisti adulti alle prese con la messa in prova di idee, esperienze e desideri filtrati dal manuale ideologico del tempo, la vicenda si svolge negli anni settanta, che prevede una discussione aperta e pubblica dei comportamenti privati. Erik, un insegnante di architettura, eredita la grande casa paterna in cui vuole trasferirsi con la sua famiglia, la moglie Anna per contenere i costi e per omologare le proprie insoddisfazioni nascoste dentro le nuove tendenze del tempo lo convince a dividere la casa con altre persone, per lo più amici di vecchia data. Freja, che è la loro figlia, sarà la testimone dello sviluppo sotto tensione dei rapporti relazionali tra le persone, e in particolare tra i suoi genitori. Nel cinema nord europeo esiste un precedente significativo, Together (2000) di L.Moodysson che ricalca più o meno la stessa storia e la sua stessa dinamica, ma era più focalizzato sugli aspetti in comune dello spazio offrendo in chiave decisamente ironica una lettura sociologica ben più significativa. La comune invece sembra appartenere molto più ai tempi odierni, non perché non potesse accadere ciò che il film illustra, cioè l’arrivo nella casa di Emma nuova e giovane compagna di Erik che metterà in forte crisi di identità la moglie Anna, ma perché il “luogo del possibile” viene lentamente trascurato in favore di una rielaborazione intima e del tutto legittima dei sentimenti della moglie. Dunque sarà la dimensione individuale a prevalere, corredata da un ritratto femminile completo grazie a Freja, Emma, Anna, che forniscono un’identità diversa e stratificata per condizione, età e maturazione. Vinterberg rifugge dalla tentazione nostalgica, per evitare la dimensione collettiva del dramma da camera (o da banale utopismo da salotto..) riduce un po’ troppo il campo al tormento di Anna, e la partecipe interpretazione di Trine Dyrholm già protagonista di Festen sorregge il racconto anche nei suoi passaggi più deboli, senza però forzare il punto di vista su quella collettività proposta come nuovo elemento ma che così sembra annullarsi in un silenzioso conformismo. Vinterberg denuncia le paure, le illusioni, le asperità della vita in qualsiasi epoca e a tutte le latitudini o semplicemente pesca nel suo vissuto quei ricordi che la lontananza e la mdp tenderà ad edulcorare? Il ritorno alla realtà resta parziale anche se, pur sfumato apparirà funzionale l’elemento della comune per la piccola storia interna della coppia di amici con figlioletto e l’ evoluzione di Fraja non così prevedibile, come in fondo risulterà debole e meschina la figura di Erik. Tutto in famiglia o quasi, sembra ancora ribadire una volta il regista.
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