Regia di Thomas Vinterberg vedi scheda film
Quando parliamo di un film in termini autoriali lo facciamo nella consapevolezza che le caratteristiche dell’opera si pongono in continuità con il resto della filmografia del suo realizzatore. E questo non perché in qualche modo s’intenda sminuire l’unicità dei singola esperienza ma al contrario per apprezzare dettagli e sfumature che in mancanza dei riferimenti presenti nei lavori precedenti rischierebbero di essere compresi in maniera parziale . Rispetto a quanto detto la carriera di Thomas Vinterberg potrebbe essere paradigmatica perché, riposte nel cassetto le velleità stilistiche del dogma di cui il nostro fu seguace della prima ora, il danese sembra non potersi staccare dai temi affrontati nel suo film d’esordio, tornando ogni volta a raccontare esistenze segnate dall’appartenenza a famiglie disfunzionali e borghesi. Un leit motiv a cui La comune, già in concorso Berlino, aggiunge un nuovo tassello derivato – a testimonianza dell’identificazione tra opere e cineasti – dal fatto che le vicende raccontate nel lungometraggio sono la trasposizione di quelle vissute dallo stesso Vinterberg che, giovanissimo, seguì i propri genitori nell’esperienza di vita collettiva realizzata secondo i principi sessantottini.
Con i dovuti distinguo, dovuti più che altro ad alcuni accenni a un contesto storico che entra in campo con le notizie del conflitto vietnamita di cui si discute all’interno della redazione giornalistica in cui lavora uno dei protagonisti e, qua e là, da qualche affermazione che prende in prestito alcune delle idee tipiche del periodo in questione La comune potrebbe essere per Vinterberg un proseguimento delle puntate precedenti, in questo caso alleggerito nei suoi risvolti più drammatici da quello spirito del tempo – il 68 - che in qualche modo giustificava la fluidità dei legami sentimentali. Ed è proprio la difficoltà di tener fede ai proclami di partenza nel tentativo di conciliare le ragioni del cuore e quelle degli ideali a fare da sfondo alle vicissitudini di Erick e Ana, i protagonisti della storia, la cui unione vacilla quando l’uomo si innamora della sua studentessa e, d’accordo con gli altri membri, decide di accoglierla all’interno del consesso umano. A differenza di altre volte – Festen, Il sospetto – Vinterberg, rimasto orfano di verità da scoprire e quindi di quei meccanismi da thriller esistenziale che caratterizzavano le sue narrazioni, gioca a carte scoperte, arrivando solo nel finale ad elaborare una parvenza di senso alle vicende che abbiamo appena visto proiettandole all’interno dell’ineluttabilità dei comportamenti umani. La comune diventa quindi un confronto di caratteri e psicologie tenute insieme dalla capacità degli attori di rendere verosimile il gioco al massacro previsto dalla sceneggiatura. Debole nella caratterizzazione dei personaggi di secondo piano La comune brilla per quelle di Erick e Ana nelle quali ritroviamo due vecchie conoscenze del cinema di Vinterberg come Ulrich Thomsen e Trine Dyrholm. Quest’ultima meritatamente premiata a Berlino con l’orso d’argento per la migliore interpretazione femminile.
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