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Lolo - Giù le mani da mia madre

Regia di Julie Delpy vedi scheda film

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La recensione su Lolo - Giù le mani da mia madre

di Spaggy
7 stelle

Si può scherzare sul complesso di Edipo senza perdere credibilità? Evidentemente sì, secondo Julie Delpy, che sceglie la via della commedia per mettere in scena l'insolito triangolo formato da una quarantacinquenne parigina organizzatrice di eventi, un programmatore informatico bifolco di provincia e il di lei figlio psicotico. La storia parte da un presupposto semplice: in viaggio con la sboccata e cinica amica, Violette incontra a Vichy il sempliciotto Jean-René, con cui una notte di sesso di trasforma in amore a prima vista. Complice il trasferimento per lavoro dell'uomo a Parigi, i due iniziano una relazione che ben presto deve fare i conti con Eloi (per tutti, Lolo), il "bambino" di Violette ossessionato dall'idea di far fuori tutti i compagni della madre. All'apparenza innocuo e angelico, Lolo si rivela pian piano essere un mefistofelico, machiavellico e subdolo, doppiogiochista: con la sua amorevole facciata, nasconde comportamenti folli che finiranno per minare l'esistenza di Jean-René sia sul piano privato sia sul piano professionale.

 

 

Partendo a razzo grazie a una serie di battute a sfondo sessuale e spesso al limite del pecoreccio e della più assurda cattiveria, la Delpy ricorre a uno schema ben prestabilito della commedia drammatica francese: dalla spensieratezza iniziale si passa lentamente al dramma senza che lo spettatore avverta il cambio di genere. La sceneggiatura di Lolo, firmata dalla stessa Delpy, si dimostra capace di reggere fino all'ultimo frammento, quello della tanto agognata resa dei conti tra madre e figlio, chiamati a tagliare per sempre un cordone ombelicale divenuto fin troppo invasivo e pervasivo. Strizzando l'occhio al pubblico, la regista non si preoccupa di calcare la mano nel delineare la caratterizzazione dei quattro personaggi principali restituendo degli stereotipi attualizzati al terzo millennio: Violette, sofisticata e bella, cela le sue debolezze nella fobia delle malattie a trasmissione sessuale e non esita a denigrare il nuovo compagno quando, per giustificare una serie di comportamenti anomali, mostra a un suo assistente la foto del 'perché' stia con Jean-Renè (le dimensioni, nell'epoca dei selfie hot, contano più dei sentimenti); Jean-René dietro l'aspetto da sempliciotto di provincia nasconde una mente da superinformatico in grado di debellare un virus in poche ore ma non capace di rendersi conto delle trappole in cui cade; Lolo, tipico giovane senza né arte né parte dei giorni nostri (quello che tutto fa o farà con le parole e nulla conclude), si rivela un Norman Bates di hitchcokiana memoria; Ariane, l'amica sboccata di Violette, è l'aiutante della protagonista in senso proppiano, colei che l'aiuta a ricongiungersi con l'oggetto e a sconfiggere l'antagonista. 

 

Se Dany Boon si conferma ancora una volta il re della commedia francese, Julie Delpy con la sua bellezza rende poco convincente la definizione attribuita al suo personaggio (quarantacinquenne culona alla Angela Merkel). Stupisce in positivo la nonchalance con cui Karin Viard, una delle più sofisticate attrici del cinema francese, si dedica anima, corpo e linguaggio, a un personaggio sui generis e sfacciatamente diretto. Da ricordare in futuro, invece, il nome del giovane Vincent Lacoste, il cui faccino angelico ben si addice a personaggi borderline come quello di Lolo.

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