Regia di Philippe Le Guay vedi scheda film
Nel vedere il film, si ha subito la percezione di una pièce teatrale alle spalle- o meglio- la voglia di rivedere la storia su quattro tavole di palcoscenico.
Anche se Jean Rochefort non ha bisogno di presentazioni, emoziona non di meno la sua interpretazione di Claude nel film di Le Guay. Con soli 84 anni non riesce però a superare l’età del novantenne Robert Hirsch che ha calcato per primo la scena di questo personaggio ideato per il teatro da Florian Zeller appena 2-3 anni prima. Eppure, nel vedere il film, si ha subito la percezione di una pièce teatrale alle spalle- o meglio- la voglia di rivedere la storia su quattro tavole di palcoscenico. Forse, in questo film, la magia del cinema non aggiunge altro all’accuratezza della recitazione. Rochefort, come il nostro Eduardo? Perché no! Il grande maestro napoletano si ispirava a personaggi dalla mente acuta e vigile, è vero; mentre Claude varca inesorabilmente la soglia della perdita cognitiva in un percorso di non ritorno. Eppure Rochefort sa rendere, attraverso il volto, quella stessa maschera. Con continue e diverse espressioni tiene in pugno lo spettatore: lo attrae con gli ultimi sprazzi di eleganza e di charme con cui Claude avvicina le badanti, per poi scuoterlo e disorientarlo per l’aggravarsi della malattie. Lo riprende, con un sorriso fanciullesco e lo riporta nell’illusione di una improbabile normalità. Dà, di sé, un’immagine di padre ed uomo comprensibile ed affettuoso e, dopo poco , si abbandona all’ingratitudine tipica della vittima-carnefice.
Bella forza d’animo, riproporre un’opera del genere da parte di un regista sessant’enne. L’età in cui mediamente un figlio deve fare i conti con la senilità dei propri genitori. Accorgersi dei primi segni del declino e cercare di porvi rimedio con maggiore attenzione ed abnegazione. Reagire alle défaillance del comportamento, facendo finta di non notarle, per poi accettarle passivamente. Tutto inutile. Poco per volta la mente se ne andrà e resterà solo un tragico involucro da accudire. A farne le spese sarà proprio il figlio più sensibile; quello più presente, più responsabile. Inesorabilmente, però, di fronte al disgregamento della propria vita, del proprio lavoro, dei rapporti con partener, figli ed amici, verrà il giorno in cui mollerà. Con un atto che riconoscerà come malvagio, pagandone le spese con il rimorso continuo, affiderà quell’essere indifeso alla solita struttura. In casa gli resterà il ricordo indelebile di un amore soffocato e la tristezza di una macchia sul muro come di un quadro prezioso portato al monte di pietà sapendo di non poterlo più riprendere.
Il cinema è bello anche quando ci rattrista conducendoci alla realtà; realtà che vorremmo dimenticare, almeno finché la sorte non ci tocca.
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