Regia di Lenny Abrahamson vedi scheda film
Dramma della segregazione e della follia che parte come una tenera fiaba dell'amore filiale che sopravvive all'abominio della violenza e della cattività e si risolve nelle lungaggini di un melodramma convenzionale sulle difficoltà di inserimento sociale in un mondo sconosciuto e alieno nel quale ricominciare una nuova vita.
Cresciuto nell'amorevole cattività di una piccola stanza blindata, il piccolo Jack è il frutto della violenza di uno psicopatico che ha rapito la madre ancora adolescente cinque anni prima che lui nascesse, tenedola segregata e abusandone sistematicamente, senza alcuna possibilità di contatto con il mondo esterno se non un piccolo televisore e lo spioncino di un lucernario dal quale guardare il cielo. Quando i due riusciranno a liberarsi, scopriranno che là fuori la vita puo nascondere le insidie di una prigionia altrettanto subdola da cui ancora una volta solo il loro amore li potrà salvare.
Tratto dall'omonimo romanzo di Emma Donoghue, ispirato al famoso caso Fritzl, e dalla stessa sceneggiato, il film dell'irlandese Lenny Abrahamson è un dramma della segregazione e della follia che parte come una tenera fiaba dell'amore filiale che sopravvive all'abominio della violenza e della cattività e si risolve nelle lungaggini di un melodramma convenzionale sulle difficoltà di inserimento sociale in un mondo sconosciuto e alieno nel quale ricominciare una nuova vita. Che il cinema Canadese prediliga le torbide storie di inganno e sopraffazione ambientate nel raggelato contesto di cittadine anonime e perennemente autunnali lo si era capito dai precedenti più o meno illustri di Denis Villeneuve (Prisoners - 2013, con locations appena più a meridionali) e Atom Egoyan (The Captive - 2014), laddove la spettrale aridità del paesaggio sembra rispecchiare le inesplicabili contraddizioni di una natura umana capace dei crimini più atroci come di un irrididucibile istinto di sopravvivenza, preservando con la forza dell'amore e della volontà quel barlume di umanità che non la faccia precipitare definitivamente nella irreversibile spirale della disperazione e della follia. A questi codici del dramma e della messa in scena sembra attenersi anche il film di Abrahamson, con la differenza di un curioso ribaltamento di prospettiva secondo il quale le terribili verità della storia e del contesto sono filtrate dalla sensibilità e dalla fantasia del piccolo protagonista, capace di trasformare l'intollerabile routine di una baracca tre metri per tre nel microcosmo fantastico popolato dalle meravigliose creature di oggetti inanimati passati nella quotidiana rassegna di una affettusa convivenza come pure nella razionale curiosità di discernere tra la natura fittizia delle creature bidimensionali che animano lo schermo televisivo dalla tangibile realtà delle loro controparti in carne ed ossa. Che la vita e l'amore nati dalla violenza possano trascendere la brutalità e l'insensatezza dell'abiezione umana che le ha generate, sembra essere lo snodo drammaturgico di un film che, almeno nella prima parte, riesce a mantenere l'originalità di un racconto capace di toccare le corde dell'emozione e della credibilità, misurandosi con la straziante scena di una liberazione giocata sul rischio di una dolorosa separazione e sugli espedienti di una tanatosi quale unica risorsa dell'animale in gabbia di sfuggire alle tenaci fauci del suo crudele predatore. Concluso il film che avrebbe quindi il respiro corto di un irrisolto mediometraggio, ne comincia subito un altro che principia con la liberazione di un ostaggio più veloce della storia dei sequestri di persona (manco col gps avrebbero fatto più presto!) e finisce con la solità tiritera di un menage familiare di padri anaffettivi, nonne comprensive, interviste televisive ed un tentato suicidio che lasciano il tempo che trovano. L'impressione è che si sappia gestire sul più difficile e si tenda a banalizzare sul più facile, dissipando il patrimonio di conoscenze e competenze acquisite col prologo per virare verso la facile storia strappalacrime che ne rende assolutamente ingiustificato il divieto ai minori di 17 anni (violenza, profanità e uso di droghe?) e le quattro candidature agli Oscar 2016 tra cui il premio come Miglior attrice protagonista a Brie Larson. Brava quest'ultima, ma bravissimo il piccolo Jacob Tremblay praticamente al suo primo, vero debutto cinematografico. Presentato al Toronto International Film Festival 2015 nella sezione Special Presentation dove ha vinto il Premio del Pubblico.
Bambini venite parvulos, c’è un applauso da fare al Bau Bau,
si avvicina sorridendo, l’arrotino col suo Know-How,
venuto a prendere perline e a regalare crack.
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