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Regia di Lenny Abrahamson vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Room

di alan smithee
8 stelle

FESTA DEL CINEMA DI ROMA 2015 – SEZIONE UFFICIALE - OSCAR MIGLIOR ATTRICE PROTAGONISTA A BRIE LARSON

ROOM di Lenny Abrahamson, regista irlandese del bellissimo Garage e degli interessanti e bizzarri What Richard did e Frank, dirige una coproduzione Canada/Irlanda che prende spunto da più di un fatto di cronaca nera, per sviluppare tematiche profonde come l'adattabilità, la pericolosità di agenti esterni sulla vita dell'uomo, la difficoltà ad integrarsi nel gruppo dopo una vita di isolamento.

Troviamo infatti Ma ed il suo piccolo bambino di cinque anni costretti a vivere in un locale angusto di circa 9 metri quadrati, illuminato solo da un lucernaio in alto sul soffitto. All'inizio non sappiamo se tutto ciò dipenda da una scelta (folle) della donna, magari ossessivamente preoccupata dalle influenze della società esterna sul carattere e la mente del suo bambino, o se invece le ragioni siano differenti. Poi la verità emerge nella sua più terrificante verità: entrambi sono progionieri di un folle che l'ha messa incinta e la utilizza come valvola di sfogo per i suoi appetiti sessuali. Tuttavia la donna pare rassegnata alla situazione, e soprattutto protesa a far si che al figlio tutto ciò possa sembrare l'universo attorno al quale vivere, in contatto con l'esterno solo grazie ad un televisore e alle poche derrate alimentari e rifornimenti che il carceriere recapita sporadicamente per la sopravvivenza dei due prigionieri.

Un piano a lungo studiato cambierà radicalmente la situazione, ma a quel punto sorgeranno gravi problematiche di adattabilità non tanto o solo per il bambino, quanto per la donna, più fragile e vulnerabile di quanto non si potesse presumere.

Brie Larson, già meravigliosa in Short Terms 12, visto a Locarno in presenza dell'attrice stessa, è qui la leva fondamentale di un film che sa tenere col fiato sospeso ed approfondire tutte le complesse tematiche e sfaccettature legate alla drammatica vicenda raccontata: la famiglia che tende a disgregarsi dopo il sollievo del riavvicinamento, la necessità di educare il bambino con gradualità al vortice di informazioni, all'eccesso visivo e mentale che la realtà di ogni giorno gli pone innanzi; l'invadenza della stampa, con le sue domande scomode, fuori tempo e fuori luogo, morbose e tendenziose alle quali non ci si può sottrarre anche per far fruttare una notorietà in grado di fornire le sostanze per affrontare tutte le spese che il ritorno alla vita chiama verso di sé.

Un film centrato e calibrato su un rapporto esclusivo tra madre e figlio, destinato un poco ad allentarsi con la conquista della salvezza, e forse proprio per questo in definitiva più destabilizzante per la madre che per il figlio. Di rilievo, come sempe, la prova di Joan Allen, nonna ritrovata dalla grande sensibilità.

Per Lenny Abrahamson la riconferma di un talento, la capacità di dedicarsi a racconti scomodi o per nulla scontati, che lo rendono un cineasta prezioso da tenere d'occhio.

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