Regia di Wes Ball vedi scheda film
Spariti i labirinti - vero (unico) punto di forza estetica-spettacolare del primo capitolo - cade anche ogni pretesa di originalità e iniziativa, crollano i sostegni distintivi di un'opera che così s'ammoscia appiattendosi nell'ammucchiata fantasy teen.
Puntata di mezzo - la trilogia è un must quanto le giovini facce belle che la popolano - ed ovviamente interlocutoria, estemporanea, strumentale: né introduzione/presentazione (solo gli "iniziati" possono capire: il film comincia esattamente dove terminava il precedente) né conclusione (aperta, of course), in attesa dell'attesissimo megafinale, previsto per il 2017.
Che sappiamo esattamente come si svolgerà: le parole di sfida lanciate dall'animoso protagonista già disegnano un quadro degli eventi e dei topoi a venire (sarà caccia, corsa, liberazione, vendetta, verità).
Ma poco importa, ora: quello che rimane di Maze Runner - La fuga è un passo monotono - come si fosse su un tapis roulant impostato a velocità media -, un racconto a larghi tratto piatto e tedioso, sbrodolante, soprattutto nella prima (dilatata) parte. In cui persino una sequenza potenzialmente coinvolgente (almeno in senso spettacolare) - la tempesta di fulmini - annega nel mare magnum della mediocrità e dell'iter "progettuale".
La narrazione infatti procede spedita - un livello dopo l'altro - per accumulo di rivelazioni sempre più "sconvolgenti", di nuovi misteri sempre più misteriosi, di nuovi compagni di cammino e nuovi cattivissimi nemici, di scomode realtà e fantasmi del passato, di tradimenti incredibili e incomprensibili azioni; mentre si scoprono, un pezzo alla volta, le fondamenta della natura delle cose, la vera verità, il grande disegno.
Un tripudio (confusionario) di robe già viste, alla maniera di ogni buon distopico youngadultiano che si rispetti: zombie ovunque, infetti, eletti, esperimenti (per la "cura"), inganni, deserti, città desolate e rovine di edifici, giochi di potere, ragazzi ribelli, dialoghi banali («spero che tu capisca perché l'ho fatto»: ma un bel vaffanculo, no?), enigmatici alleati-che-forse-non-sono-tali-ma-poi-forse-sì-sul-più-bello: ognuno può tracciare le coordinate dell'opera di riferimento, e sono tante.
Nel solco del prevedibile anche i "guest" (il focus rimane naturalmente incentrato sul baldo protagonista, Dylan O'Brien, e compagni di ventura: un assieme standard di belle facce e pose): Giancarlo Esposito (ambiguo, bastardo, buono) si muove in modalità automatica, Lili Taylor purtroppo la fanno scomparire presto, Barry Pepper un po' agitato un po' sprecato, Aidan Gillen "ditocorteggia" da par suo (peccato che il ruolo sia scritto male, come gli altri).
A tal proposito, curiosa la compresenza di altri due attori rivenienti da Game of Thrones: oltre all'anzidetto Gillen e a Thomas "Jojen Reed" Brodie-Sangster (già presente nel primo Maze Runner) fa la sua (bella) comparsa Nathalie "Missandei" Emmanuel: appare poco ma dovrebbe avere un ruolo più rilevante nel prossimo episodio.
Meglio, comunque, il finale concitato - quando termina la cosiddetta fuga - che apporta un minimo di tensione e movimenta un po' azione e personaggi (dallo spessore esile di un foglio di carta straccia). Poco, in ogni caso, per salvare il film. Alla prossima (speriamo migliore) puntata.
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