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Bleed - Più forte del destino

Regia di Ben Younger vedi scheda film

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La recensione su Bleed - Più forte del destino

di supadany
6 stelle

Tff 34 – Festa Mobile.

Prima o poi, anche i pugili dai quali attingere storie interessanti e umane, spettacolari ed emozionanti, tra uscite di scena rovinose e ritorni incredibili, dovranno pure finire. A stretto giro da The bleeder, visto a Venezia 73, ecco un’altra vicenda che dal ring scala nella vita, con un protagonista in trasformazione tra rivincite e sfortune, spericolato ma con una volontà ferrea.

Fare la differenza è difficile visti i tanti predecessori muniti di guantoni.

Dopo aver sprecato l’occasione per vincere il titolo di campione del mondo, Vinny Pazienza (Miles Teller) si affida agli allenamenti di Kevin Rooney (Aaron Eckhart) per cercare la strada del rilancio, quando tutti lo danno ormai per finito.

Il ritorno sul ring è clamoroso, ma la fortuna gli volta le spalle. Dovrà ripartire dal fondo, affrontando una sfida che in principio vede messa a repentaglio anche la possibilità di una vita normale.

 

Aaron Eckhart, Miles Teller

Bleed - Più forte del destino (2016): Aaron Eckhart, Miles Teller

 

Basato su una storia vera. Caduta e rinascita, ricaduta ancor più terribile quanto sfortunata e un ritorno assumendo le vesti dell’araba fenice.

Bleed for this racconta, almeno nelle direttive base, una tra le storie più vecchie del mondo, solo (un po’) più clamorosa, che comunque fa sempre (un certo) piacere rivedere, aspettando gli snodi principali, per poi goderci il trionfo (già scritto).

Tutto noto, solo shakerato generando successioni mescolate in funzione del personaggio, con l’ultima occasione, gli errori e il grande sogno, con un attimo a dividere l’inferno dal paradiso.

Tra gli stilemi consolidati, funziona l’immancabile accoppiata pugile-allenatore, innanzitutto grazie agli interpreti; Miles Teller riprende quota (il flop de I fantastici quattro poteva abbattere un toro) caricandosi come una molla in ogni direzione, Aaron Eckhart si trasforma con successo mettendo su una pancia rotonda e proponendo un taglio povero di capelli, per un ruolo carismatico che richiama l’attenzione, mentre Ciaran Hinds non difetta in fatto di esposizione sopra le righe. 

Dal canto suo, Ben Younger (1 km da Wall Street) - che torna a dirigere un lungometraggio undici anni dopo Prime - mostra una regia quadrata, slanciata per la prima metà abbondante, mentre a seguire ha il sopravvento la sensazione che abbia cercato di contenere il minutaggio, tagliando più velocemente, con periodi che in questo modo non mostrano un’uniformità soddisfacente; invece, rimangono convincenti le riprese sul ring, mani e piedi in alternanza di montaggio, il classico sangue sui volti, in rapida tumefazione.

Così tra rischio (giustificato) e scommessa (da evitare), non si può sviare più di tanto dall’ordinario, mostrando perseverazione e ostinazione, lasciando trapelare il dolore per poi approdare al delirio del successo, regalando al pubblico esattamente ciò che si aspetta.

Chi si accontenta gode.

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