Regia di Jeremy Saulnier vedi scheda film
Seconda opera di Saulnier, regista che si era presentato benissimo con il drammatico Blue ruin. Il risultato -in termini di qualità- sta esattamente nella via di mezzo tra l'opera d'esordio e il successivo Hold the dark.
In un momento di infruttuosa attività, la band musicale degli Ain't Rights (impegnata in esibizioni heavy metal) accetta di partecipare a un raduno di estremisti, propugnatori di filosofie razziste. Durante la serata il gruppo è involontario testimone di un omicidio. Da quel momento i quattro componenti si trovano coinvolti in un incubo senza più via d'uscita. Vengono rinchiusi nella stanza adibita a backstage, la green room, mentre il prepotente coordinatore pensa come mettere in atto il miglior modo di eliminarli, senza lasciare tracce.
Dopo l'interessante esordio (Blue ruin), Jeremy Saulnier torna dietro la macchina da presa per dirigere questo survival piuttosto scontato e privo invece di quegli spunti che avevano caratterizzato il precedente lavoro. Fotografato con tonalità troppo oscure, con predominanza di sottofondo verde (nel rispetto del titolo) Saulnier realizza una (sua) sceneggiatura che non riserva sorprese e che, anzi, a più riprese si adagia su scontati luoghi comuni. Lontano dall'idea di denunciare le ideologie estreme, quindi immerso in un clima di puro divertissement (però non raggiunto), Green room si svolge senza mai colpire duro. Pure le scene che, nelle intenzioni, dovrebbero incutere disgusto, non raggiungono mai un livello significativo. Resta un lavoro che presenta una regia non priva di originalità ma purtroppo poco attraente per risultato finale. Stavolta Saulnier, forse a causa di un budget davvero contenuto, autolimita il filmabile -perdendosi nello standard di messa in scena- ottenendo un thriller dal tenore squisitamente televisivo.
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