Regia di Pietro Reggiani vedi scheda film
Dieci anni dopo l’esordio L’estate di mio fratello, Pietro Reggiani torna a raccontare i piccoli grandi traumi dell’infanzia e le modalità, bizzarre e catastrofiche, con cui il mondo degli adulti modella la crescita emotiva dei bimbi. Nel caso di Roberta e Massimo, il problema sta negli occhi di chi (non) li vede: i genitori di lei, progressisti e indaffarati, non la degnano di uno sguardo;?quelli di lui, ambiziosi e soffocanti, lo riempiono di attenzione indesiderata. Entrambi sviluppano così una patologia debilitante: l’invisibilità psicosomatica. Roberta sparisce ogni volta che non c’è nessuno a guardarla, Massimo invece scompare quando si sente osservato. Reggiani li segue lungo le rispettive adolescenze tormentate, fino ai guai dell’età adulta, con tutte le complicazioni che l’invisibilità comporta per trovare un lavoro o un partner. Accompagnati da una voce narrante che simula l’oggettività di un documentario sull’immaginaria malattia di cui soffrono, i protagonisti diventano metafore della società odierna, affamata d’attenzione ma deficitaria di concentrazione (l’esibizionismo di reality show e social network è al centro del plot). Metafore, però, solo teneramente abbozzate, in un’opera che pare nata per essere corto e soffre l’espansione di un soggetto troppo esile per reggere la durata, lungo la quale anche la messa in scena si smarrisce (l’apparato da mockumentary affiora con cadenza arbitraria), come le buone intenzioni degli attori.
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