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Smokings

Regia di Michele Fornasero vedi scheda film

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La recensione su Smokings

di lamettrie
8 stelle

Un buon documentario. Specialmente perché mostra tutti gli aspetti reali dello strapotere che, con mezzi legali e illegali, le grandi compagnie del capitalismo esercitano sulla realtà tutto: compreso lo stato o le grandi associazioni internazionali (qui si vede in particolare l’unione europea), la cui classe dirigente è tutta selezionata dal, e asservita al, privato (anziché, come dovrebbe essere, al pubblico), a danno della collettività, ma a vantaggio di una irrisoria minoranza di ricchissimi. Le grandi compagnie (qui, quelle assassine, quanto potentissime, delle sigarette) hanno fatto tante nefandezze che qui si vedono (infatti questo è un documentario, fatto di storia e cronaca, non fantasia): ottengono dagli stati delle condizioni favorevoli a loro stesse, di cui fanno in modo che altri impediscano di godere; delocalizzano, rovinando le economie locali; fanno costantemente cartello, pratiche di concorrenza sleale (come quelle di creare in modo truffaldino prodotti col nome dei concorrenti, prodotti che intenzionalmente sono scadentissimi, per rovinarne la credibilità; oppure creare prodotti attribuendovi delle caratteristiche di italianità per ingannare il pubblico italiano, dato che quel prodotto di italiano non ha nulla); distruggono sul nascere ogni minima concorrenza, col pretesto che i concorrenti violano la legge (il che ci starebbe anche, se poi non fossero loro accusatori i primi a violare le leggi come conviene a loro; e i reati delle grandi imprese sono anche più gravi di quelle delle piccole). Soprattutto colpiscono i “due pesi e due misure”: queste multinazionali compiono reati, come quelli di evadere le tasse per centinaia di milioni, ad esempio; poi pagano i loro avvocati per difendere le loro stesse frodi; e poi sono le stesse che pagano i medesimi avvocati per far valere le leggi di fronte allo stato quando sono i piccoli concorrenti che compiono il loro stesso reato, cioè non pagare le tasse. E queste piccole imprese evadono le tasse molto meno di quanto fanno le grandi, che pure le denunciano. Questo mostra una delle grandi falsità del liberismo, per cui questo è inaccettabile: che la libera concorrenza avrebbe premiato i migliori. No, ha invece premiato il più delinquente, che ha maggiori strumenti economici per combattere per la propria impunità criminale. Questi vantaggi servono per pagare i migliori avvocati, pubblicitari giornalisti, politici (con tangenti o solo col miraggio di una carriera economicamente confortevole…), in modo che le proprie menzogne non vengano punite, ma anzi siano premiate. Da almeno quarant’anni si è tornati sempre di più, come giustamente si dice, in una nuova forma di feudalesimo, il neofeudalesimo, appunto: un’oligarchia in cui solo delinquendo si può davvero essere i più ricchi e potenti della società. È il vero volto del capitalismo: rapace, falso, predatorio, capace di usare ogni retorica per mentire; non tanto diversamente da un delinquente comune, di quelli di periferia, quanto alla statura umana, etica e politica assieme. Il documentario merita plauso anche per altri versi. Innanzitutto non prende parte troppo a favore delle vittime: anche questi ultimi sono imprenditori che eludono le leggi e le tasse. Soprattutto, non hanno profondità: non sanno che farsene dei soldi, e cadono nelle contraddizioni più palesi. Fanno la loro battaglia non per arricchirsi, dicono, ma per dare fastidio ai grandi ladri, ma loro stessi non si godono i soldi: sono pieni di tic, preoccupati, un po’ depressi nonostante il fatturato li dipinga reali milionari. Proprio questo è un altro pregio del documentario: quando i soldi si fanno con i reati (e questi li fanno, i reati; ad ogni buon conto, nel 2018 sono stati condannati a sei anni), non si può mai stare tranquilli. Ma non certo perché primo o poi tanto arriva una legge inesorabile, che sta sempre dalle parte del giusto e delle vittime e condanna i colpevoli: questo è il messaggio del film, che in realtà la legge sta dalla parte dei delinquenti forti, e si accanisce contro chi delinque di meno, dato che la legge è disgraziatamente in mano a pochi grandi capitalisti, poiché questi hanno in pugno lo stato, con i mezzi già citati. Illuminante è al testimonianza di Prodi: per quanto involontariamente grottesco, mostra l’uso delinquenziale della propria autorità politica, che nessuna falsa apparenza bonaria può cancellare (anche se tale apparenza bonaria ha contribuito a permettergli in modo ingiustificato tanto successo politico). Con argomenti da curato di campagna (lui è di Scandiano, provincia di Reggio Emilia), cerca di giustificare ciò che semplicemente è ingiustificabile. Infatti , quando era presidente dell’Unione europea, quest’ultima comminò delle pene ridicole verso i reati delle grandi multinazionali del tabacco. Mascherandosi dietro a teorie penose, in realtà non fece loro pagare neppure lontanamente quanto era dovuto, mettendo per la millesima volta in atto la politica delinquenziale dei due pesi e delle due misure, forte coi deboli e debole con forti (e del resto è difficile essere serio e inflessibile verso chi ti ha dato il potere, senza il cui appoggio non avresti avuto nemmeno un centesimo dei soldi e del potere che hai e che hai avuto). I due protagonisti sono anche teneri nella loro vita quotidiana, che solo piemontesi da generazioni possono capire appieno: un po’ tristi, compassati, ma vigili nel tutelare il proprio interesse, liberi mentalmente, e inadatti a subire da servi. Inoltre la regia di Fornasero mette bene in evidenza che non si può sposare la causa di quelli che comunque mostra come vittime: questi sono degli interessati commercianti di morte, grazie alle sigarette. L’autodifesa di uno di loro (“se allora l’etica inizia a c’entrare, allora l’etica blocca tutto…”) è ridicola. Inoltre il loro padre è morto proprio per un tumore ai polmoni in quanto era un fumatore, da due pacchetti al giorno. I due figli, i due Messina imprenditori protagonisti, fingono di dimenticare di aver perso così il padre a dieci anni circa: ma o sono stupidi da dimenticare un dettaglio di questa rilevanza, o sono disonesti, nel fingere di tralasciare di essere loro stessi gli assassini interessati di tante vittime come lo fu il loro stesso padre. Infatti non finge di dimenticare ciò invece la madre, la quale è usata dalla regia come ottimo, intelligente contraltare per la biografia dei figli. Questi con lei appaiono devoti ed educati, lontani da tanti stereotipi commerciali dell’imprenditore laido e rampante, ma vicini alla realtà di tanti imprenditori (non tutti!), amorali come questi e spesso limitati in ogni senso, specialmente sotto il profilo culturale. Questo è il motivo per cui pagano l’assenza di vedute più larghe, così come la mancanza di percezione del male che commettono. Anche ricordando ciò, ridicola è la scena “pubblicitaria” con cui tutti, padroni e dipendenti, fumano fuori dai capannoni. Notevole è l’uso del primo piano indugiante, che evidenzia i silenzi, le ambiguità, le contraddizioni, ma anche la grinta e l’indignazione di questi protagonisti. I quali sono oggettivamente strani (non sono certo dei divi!), e proprio per questo sono autentici, a loro modo, per quanto anche sempliciotti. Come autentica è, purtroppo, la tragedia della realtà economica contemporanea che questo bel documentario dimostra.

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