Regia di John Frankenheimer vedi scheda film
Definito dal suo regista come l’ultimo film d’azione girato in bianco & nero da uno studio hollywoodiano, The Train è tratto dal romanzo Le front de l’art di Rose Valland, ispirato a sua volta a un evento storico realmente accaduto, il deragliamento alla stazione di Aulnay-Sous-Bois nell’agosto del’44 di un treno contenente le opere d’arte saccheggiate dall’ERR (Einzastab Reichleiter Rosenberg), gruppo dell’esercito tedesco che aveva il compito di rastrellare le opere d’arte della nazione occupata, ad opera della resistenza francese.
Operazione resa possibile grazie alle informazioni fornite dalla stessa Valland, storica dell’arte e assistente volontaria presso il museo Jeu de Paume di Parigi, dove l’ERR aveva stabilito il suo quartier generale e dove erano custodite le opere sequestrate.
Sceneggiato da Frank Davis, Franklin Coen & Walter Bernstein, The Train venne inizialmente affidato alla regia di Arthur Penn ma dopo appena 15 giorni venne licenziato per le classiche “divergenze creative” con il protagonista Burt Lancaster, anche co-produttore della pellicola, e sostituito da John Frankenheimer, che con Burt aveva già lavorato in Il giardino della violenza, L’uomo di Alcatraz e Sette giorni a maggio, con il compito di realizzare un film più orientato all’azione di quanto Penn avesse originariamente pianificato, il quale pretese fin da subito il maggior realismo possibile, evitando qualsiasi trucco scenico (arrivando a distruggere veramente sia camion che interi treni) e girando in (quasi) tutte le location reali (le riprese avvennero interamente in Francia presso Acquigny, Vaires-sur-Marne e Saint-Ouen).
Inoltre, gravato anche da una sceneggiatura lunghissima, fu costretto a tagliare il più possibile per concentrarsi invece sugli elementi più essenziali e progressisti, buttando via il superfluo, che portarono a inalzare il budget della pellicola a 6,7 milioni di dollari trasformando un racconto morale (moralistico?) in uno splendido film d’azione, spettacolare e emozionante dall’inizio alla fine.
Come La Grande Fuga, altra pellicola sulla Seconda Guerra Mondiale di un anno prima basata su un fatto realmente accaduto, The Train ne rifugge i fatti realistici preferendone la leggenda fornendo un resoconto fortemente romanzato del saccheggio nazista di tesori d’arte europei, un po’come nel più recente Monuments Men con la differenza che la pellicola di George Clooney non riesce mai a trovare una trama avvincente, perdendosi dietro a didascaliche esternazioni didattiche sulla bellezza e la meraviglie dell’arte, mentre la pellicola di Frankenheimer è soprattutto un film bellico di grandissimo intrattenimento, con continua tensione, spettacolarità e una bella costruzione dei personaggi e dove la vera guerra non è combattuta soltanto sul campo ma è anche la contrapposizione di diverse filosofie di vita, proponendo sullo sfondo anche un’interessante dicotomia tra il valore dell’arte e quella della vita umana
Qualche momento è un po’ troppo semplificato e abbonda anche una certa retorica, che va dalla rappresentazione dell’eroica lotta dei partigiani francesi contro gli spietati invasori in realtà fin piuttosto ingenui (per non dire di peggio), in favore di un certo sciovinismo francese su cui si riesce a sorvolare soltanto grazie alla regia di Frankenheimer, e a sequenze spettacolari con una tensione pressoché costante, specie nell’ultima parte, e con un finale, a montaggio alternato, che fa ancora oggi il suo effetto.
Ottimo protagonista del film, eroe tutto d’un pezzo ma anche un tantino stereotipato, è un maturo ma sempre aitante Burt Lancaster, mentre l’eccellente antagonista e spietato colonnello nazista viene interpretato da un bravissimo Paul Scofield che nel ruolo dell’ufficiale nazista riesce sovente a rubargli la scena.
Del cast, soprattutto francese, fanno parte anche una sprecatissima Jeanne Moreau, protagonista di una parentesi romantica inutile quanto scontata, e un magistrale Michel Simon e comprende anche Suzanne Flon, Charles Millot, Wolfgang Preiss, Richard Munch e Albert Rémy.
VOTO: 8
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