Regia di John Frankenheimer vedi scheda film
"Fucileranno qualche ostaggio, ma questo è il prezzo da pagare. I suoi quadri lo giustificherebbero?"
Francia, agosto 1944, ultimi giorni dell’occupazione tedesca. Mentre gli alleati si avvicinano a Parigi, l’esercito tedesco comincia a smobilitare. Il colonnello Von Waldheim (Paul Scofield), fanatico d'arte, fa caricare su un treno una inestimabile collezione di dipinti francesi, che aveva protetto durante la guerra, con l’intenzione di portarli a Berlino. Incaricato di organizzare i preparativi per il viaggio è l’ispettore ferroviario Labiche (Burt Lancaster), che lavora per i tedeschi ma che in realtà è a capo di una cellula della resistenza francese. Labiche ed i suoi uomini danno vita ad una spettacolare corsa contro il tempo, tra sabotaggi e disperate azioni militari, pur di fermare quel treno e farlo restare in Francia.
Tratto dal romanzo Le front de l’art di Rose Valland, a sua volta ispirato ad un episodio storico realmente accaduto, Il treno (The Train, 1964) viene inizialmente affidato alla regia di Arthur Penn. Ma dopo appena 15 giorni di riprese, i contrasti tra il regista ed il divo Lancaster, anche co-produttore, dovuti ad una visione diversa della storia, impongono un cambio. Al posto di Penn viene allora chiamato John Frankenheimer, che con Burt aveva già realizzato tre film (Il giardino della violenza, L’uomo di Alcatraz e Sette giorni a maggio) e che trasforma un racconto morale in un grande film di azione, spettacolare, entusiasmante, appassionante dal primo all’ultimo minuto. Il regista apporta il suo stile visivo basato su un uso virtuosistico della macchina da presa, attenta a rappresentare gli stati d’animo dei personaggi oltre che a metter in risalto l’essenza spettacolare del film. 128 minuti che filano, e scusate il gioco di parole, davvero come un treno. E Burt la fa ovviamente da padrone, eseguendo di persona e senza stuntman (memore della sua carriera giovanile da atleta) tutte le sequenze avventurose, anche zoppicando in tutta la seconda parte in seguito ad un incidente durante le riprese. Parla poco Burt in questo film, ma comunica attraverso le espressioni del viso dolente tutte le insicurezze, le paure, i tormenti: insomma tutta l’umanità del suo personaggio così indeciso su quello che sia giusto fare.
Perché Il Treno è soprattutto, come dicevamo prima, un racconto morale. Cosa è più importante? Una vita umana o l'arte? Lo scontro tra i due protagonisti si riflette nella loro diversa concezione. Il fanatico Von Waldheim pensa che fondamentale sia l'arte, perchè nella sua idea egoistica "la bellezza appartiene agli uomini che sanno apprezzarla". Labiche, invece, inizialmente è contrario alla richiesta di aiuto della direttrice del museo di Parigi, convinto che non sprecherà “delle vite umane per dei quadri”. Soltanto dopo il sacrificio dell’anziano macchinista ubriacone e ignorante Papa Boule (Michel Simon), che in un impeto di eroismo si fa uccidere per tentare di mettere in salvo quella che gli hanno spiegato essere “la gloria della Francia”, decide di agire. Da quel momento Labiche mette tutte le sue energie e la sua stessa vita a repentaglio pur di salvare quel carico, nonostante egli stesso non ne comprenda l'importanza. Alla fine la domanda resta la stessa, e forse irrisolta. E così dopo tante morti, in un finale malinconico, secco e brutale, ci resta soltanto un altro, inquietante e terribile interrogativo: ne valeva davvero la pena?
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