Regia di Mario Bava vedi scheda film
Film antologico diviso in tre episodi girato nel 1963 dal grandissimo Mario Bava: spettrali le atmosfere, stupenda la fotografia, grandissimo Karloff, ma soprattutto abbondante la paura.
Cala la notte. Ritiratomi nelle mie stanze come potrebbe fare qualsiasi personaggio di un qualsiasi romanzo del Sette-Ottocento, mi metto a letto. Mi sdraio, mi metto su un fianco - quello destro - e provo a prendere sonno. Ed è dura addormentarsi quando le tenebre entrano nella tua stanza e senti delle voci da fuori (quelle dei vicini?) che sembrano urlare, forse per paura, forse per sgomento, e tutta l'atmosfera della tua casa ti attanaglia nel buio, in un'opprimente oscurità che non ti lascia stare nemmeno un secondo e sembra penetrare nelle tue carni come farebbe un infame macellaio con la sua merce.
E la paura sale quando vedo una luce entrare a fatica nella mia camera da quella fessura sempre, costantemente presente tra la porta e il pavimento.
Sento bussare. "Chi è?", faccio io. Una voce potente, rotonda mi risponde, non senza un'inflessione marcatamente romana: "Aprimi figliolo, sono Mario Bava, e sono qui per salvarti."
Non so che dire né cosa pensare, quindi provo ad articolare una risposta, ma le parole si mescolano l'una con l'altra, rendendo la mia frase uno sconclusionato turbinio di vaneggiamenti senza alcun senso.
Allora la voce riprende: "Via, non farmi perdere tempo. So che hai guardato 10 cose che odio di te per far colpo su una ragazza e che sotto sotto ti è piaciuto, e non dirmi di no che sennò chiamo Boris Karloff a sistemarti per le feste, eh! Vieni con me... Non c'è tempo da perdere, bisogna salvare la tua anima!"
Pronunciate queste ultime parole, la porta si apre, e dei fasci di luce colpiscono il mio volto. Luce rossa, luce viola, luce verde mi abbagliano, mi sconvolgono, vedo dei volti, voglio nascondermi sotto le coperte ma qualcosa di magnetico mi attrae a sé.
Svengo, mi risveglio in poltrona.
Quella voce che mi torturava fino a un attimo prima sembra essere scomparsa, quando il televisore si accende improvvisamente. Dei titoli di testa iniziano a solcare lo schermo e a marchiare a vita la mia mente come si fa con le mucche, e leggo "I tre volti della paura", e poco dopo, nel delirio generale, compare anche il nome di Mario Bava.
Mi rinvengo completamente, capisco e sono tutt'occhi per il mio salvatore. E un'ora e mezzo passa in una manciata di secondi.
Quello che sto vedendo è un film antologico, diviso in tre episodi tutti ispirati ad altrettanti racconti di insigni scrittori: Maupassant, Tolstoj e Cechov. Anche se in realtà non è proprio così: il primo episodio non è veramente tratto da Maupassant ma da tal F.G. Snyder (nome che mi ricorda più un centrocampista dell'Inter che uno scrittore), il secondo è tratto da Tolstoj, ma questi non è l'autore di "Guerra e Pace", mentre il terzo sembra davvero tratto da Cechov ma di più non so.
Ma chi se ne frega, è un film di Bava, godiamocelo.
Subito arriva ad accoglierci Boris Karloff (in uno dei suoi ultimi ruoli), che si offre a noi come sospeso in un ambiente indefinito, attraversato da quelle luci rosse, viola, verdi che un attimo prima mi avevano colpito lasciandomi svenuto, e questi colori arrivano persino a deformare lo spettrale volto di Karloff, e rimango come atterrito.
And your trip begins.
1) IL TELEFONO: ****
Una avvenente signorina è appena tornata a casa, e all'improvviso inizia a ricevere chiamate misteriose che le annunciano la sua morte.
Quello che colpisce in questo episodio è la costruzione quadrata e cinica della paura, del senso di oppressione e di claustrofobia che attanaglia la protagonista, rinchiusa in quella prigione che chiamiamo casa. Una casa arredata perfettamente: niente è fuori posto, gli oggetti sono disposti in maniera meravigliosamente armoniosa in ogni angolo, e a un numero di dettagli spropositato e a dei colori tipicamente barocchi si aggiunge una razionalità e un'armonia nel mettere in scena ogni oggetto che è tipicamente (neo)classica.
I movimenti di camera sono fluidi, liquidi, Bava sa come muovere il suo occhio in uno spazio ristretto, e lo spettatore si muove con lui, segue il sensuale corpo della nostra protagonista, le sue paure, e più di una volta la macchina da presa si sposta velocemente sul telefono, strumento di morte, che squilla, sta per squillare o ha squillato.
Inutile dire quanto quest'episodio sia stato seminale per l'horror del futuro (pensiamo ad Argento, o anche solo alle chiamate di "Scream", e vediamo bene quanto Bava fosse avanti nel 1963, ripeto, nel '63!).
Elegante e teso, neoclassico ma moderno, questo rimane comunque l'episodio meno riuscito, ma anche solo il perfetto stacco di montaggio durante la colluttazione finale vale il prezzo del biglietto.
2) I WURDULAK: ****1/2
Un nobile russo abbastanza tordo, dopo aver trovato un cadavere senza testa, chiede ospitalità a una povera famiglia del luogo, non sapendo che il capo famiglia è affetto da una particolare forma di vampirismo.
Questo è l'episodio più lungo, e quello in cui a fare la parte del leone è Boris Karloff. Sebbene abbia una struttura più classica e sia il meno originale, quello che stupisce è la creazione delle atmosfere: la nebbia, le luci, la messa in scena, tutto è fatto così bene da sembrare reale, ma la vicenda è allo stesso tempo così perduta nel tempo, come sospesa, che sembra avvenire in un mondo fantastico.
E non ci si accorge assolutamente che questo film sia realizzato al massimo con le 500 lire nel carrello di Giovanni Storti (come vedremo nel finale...), perché è tutto così tremendamente credibile anche a sessant'anni dalla sua uscita che sembra avere il budget de "I dieci comandamenti". Non ci si accorge che i pugnali sono al massimo di cartone, è tutto così perfetto che è impossibile capirlo.
Tante le scene meravigliose, ma una in particolare riesce a riunire perfettamente suspense, sangue e dramma: il piccolo Ivan è appena stato ucciso da Karloff, ma, diventato un vampiro, si mette sotto la finestra dei genitori per lamentarsi del freddo, e inizia quindi ad abbracciare la porta; la madre, ormai impazzita, uccide il marito, va ad aprire al figlio e compare Karloff che la stempia. In questa scena c'è tutto, e soprattutto tanta, tanta paura.
E la scena in cui Karloff scappa sul cavallo per poi scomparire nel bosco innevato è stata ripresa pari pari da Tim Burton ne "Il Mistero di Sleepy Hollow" (a mio parere il suo film migliore insieme a "Ed Wood").
E ora arrivano i lupi...
3) LA GOCCIA D'ACQUA: *****
Una donna di servizio riceve una chiamata nella notte: è appena morta una ricca medium. Andata per vestire il cadavere, le ruba un anello. Ed è l'inizio di un incubo, perché la medium non è affatto morta, o almeno, il suo fantasma...
E qui mi inchino al cospetto di Bava, e verso anche qualche lacrima di commozione.
Tutto è perfetto: le luci a intermittenza, gli scontri cromatici, l'interpretazione della compianta Jacqueline Pierreux, il volto deformato della morta, la macchina da presa che indugia sui particolari terrorizzanti del suo volto, la geometrica visione del letto della morta, la goccia d'acqua del titolo che cade lenta e inesorabile sul futuro della povera donna...
E tutto si completa in un climax crescente di terrore, fino a raggiungere un'inquietante svolta, con apparizioni del nostro terzo volto della paura, sul letto della Pierreux, su una sedia a dondolo, fino alla tremenda fine della nostra protagonista, una delle cose più terrorizzanti che abbia mai visto in tutta la mia vita.
E Boris Karloff a cavallo ci dice addio un'ultima volta, ma quando credo che il film stia per finire, il trucco è svelato: l'attore non è su un cavallo vero, e non sta attraversando un bosco vero come ci sembrava prima, ma ci sono solo quattro folli che corrono intorno alla cinepresa con dei rami in mano. E Bava riprende il suo lavoro, e ci fa vedere in che condizioni deve lavorare, con che budget ha realizzato questo capolavoro assoluto del cinema tutto.
Il film finisce.
Salgo le scale, e sento il mio cuore che batte come non mai. Sono stato salvato, ho avuto paura di un trucco, perché il cinema è un trucco. E Bava è il cinema.
Grazie Mario.
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