Regia di Mario Bava vedi scheda film
Dal maestro Mario Bava, un horror d'annata, ma ricco di fascino.
Tre racconti del terrore, presentati simpaticamente dal mitico Boris Karloff. E' uno dei film“cult”del cinema horror italiano degli anni sessanta. Il primo è intitolato Il Telefono, è ispirato ad una storia di Maupassant, da altri accreditato a Snyder, racconta di una donna Rosy, che inizia a ricevere delle telefonate minatorie, via via sempre più minacciose, la signorina è spaventata, anche perché è appena uscito di prigione l'ex fidanzato, inchiodato e arrestato proprio a causa della sua testimonianza. Rosy esasperata telefona a Mary, una donna con la quale ha avuto una relazione finita male,chiedendole di accorrere. Sì scopre che è stata proprio lei ad inscenare la macabra messinscena per potersi riavvicinare a Rosy ,ma il destino gioca un brutto scherzo e il finale è beffardo; la storia anche se molto essenziale, riesce comunque a suscitare tensione narrativa, usando pochi elementi:una telefonata, un piccolo monolocale e una donna e che donna! la meravigliosa Michèle Mercier e poi i colori, i movimenti di macchina fantasiosi, l’ambiente claustrofobico e la tensione erotica tra le due protagoniste che enfatizza ulteriormente l’atmosfera malsana del racconto .Nel secondo episodio "Wurdalak" tratto da un racconto di Tolstoj e impreziosito da un delizioso cameo di Boris Karloff, uno degli interpreti horror più in voga in quel periodo, Vladimir D'Urfe, trova un cadavere decapitato sul greto di un fiume, si reca nella fattoria vicina dove conosce una famiglia in apprensione: sono i figli di Gorka che attendono il padre partito per sopprimere un wurdalak, sorta di vampiro, l'anziano si è raccomandato di respingerlo, allorquando avesse tardato il rientro per più di cinque giorni. Il vecchio torna pochi minuti dopo la mezzanotte dell'ultimo giorno, ma egualmente viene accolto in casa; ovviamente anche lui è diventato un vampiro, nel frattempo l'ospite s'innamora ricambiato di Svetla, una delle figlie, ma nemmeno l'amore fermerà l'epidemia di vampirismo. Dunque una classica storia gotica, ambientata all'inizio del XIX secolo, che si svolge in un’antica dimora, nella nebbiosa e terrificante foresta e tra i ruderi di vecchie rovine, suscitando grande inquietudine, per gli stupendi, ma tetri paesaggi innevati, che svelano il sottile romanticismo della trama, in virtù di splendide scenografie e di una bella fotografia realizzata dallo stesso regista in collaborazione con Ubaldo Terzano,anche qui donne stupende e atmosfere rarefatte di grande suggestione,che Bava, con pochi trucchi e sapienti accorgimenti, riesce a confezionare. Conclude l’antologia, l’episodio a mio sommesso avviso, più riuscito La Goccia D’acqua di Cechov. L'infermiera Helen Chester viene chiamata nel cuore della notte dalla vecchia governante di una ricca e stravagante medium: la donna è appena deceduta nel corso di una letale seduta spiritica e la governate ha bisogno dell'aiuto di Helen per vestire il cadavere. Rimasta sola con la salma, Helen nota un anello importante al dito della defunta e non resiste alla tentazione di sfilarglielo. Sarà l'inizio di una persecuzione sempre più accanita, che culmina con la morte per dell'infermiera, ma la portinaia che ha scoperto il cadavere di Helen non ha saputo a sua volta resistere al fascino del magnetico anello e cosi la maledizione si perpetua.Il volto della medium,bloccato in una smorfia orripilante, è molto impressionante, in più è suggestiva e inquietante, la cornice in cui si muove la storia, con il rumore ipnoticamente angosciante della goccia che cade nel lavandino, il temporale e le stanze dai soffitti alti. Ma il climax si raggiunge quando la sottile ambiguità s'insinua nello spettatore e lo spinge a chiedersi se ciò che accade sia reale o frutto del rimorso della protagonista. La scena col cadavere della medium che sembra quasi avanzare su dei binari, è di taglio decisamente artigianale, ciononostante ha una notevole carica espressiva; sarà omaggiata da John Landis in una ghiotta citazione all’inizio dei “Blues Brothers”, mentre l’effetto ansiogeno anticipa il Polanski del famosissimo” L’inquilino del terzo piano”. La chiosa finale divertentissima e imprevedibile, dimostra la profonda autoironia di un cineasta dotato,ma poco incline a prendersi sul serio. Mario Bava, maestro del cinema horror, quello gotico nell'accezione più classica del termine, ci ha consegnato, con questo film dal gusto barocco e anche un po' kitsch, coi colori pastello intensi e innaturali e le spericolate carrellate della mdp, un' opera che a dispetto del tempo trascorso, mantiene intatto il suo sinistro fascino. Ciò che invece costituisce il limite o se volete il difetto di questo prodotto, è una sceneggiatura didascalica e ingenua, in cui i dialoghi sono spesso infantili e di scarso spessore. Al netto di ciò si può ritenere ‘I Tre Volti della Paura” un horror raffinato e di fattura elegante seppur datato.
La critica nostrana degli anni 60/70 fu molto severa nei confronti del maestro Bava, giudicandolo solo come un buon artigiano del cinema. Viceversa i vari Tim Burton, Quentin Tarantino, Martin Scorsese e John Carpenter tra gli altri, hanno sempre apprezzato la creatività del nostro regista, restituendo la giusta dimensione artistica, ad uno dei più visionari e geniali registi del settore.
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