Regia di Danilo Monte vedi scheda film
Un viaggio in treno verso una meta dolorosa che mostra anche come nel luogo dell'antiumanità per eccelleza (come è appunto un campo di concentramento) sia possibile ritrovare la nostra umanità più profonda se solo si ha il coraggio di rimettersi in gioco.
Mi viene da definirlo un film non solo necessario, ma anche terapeutico (e soprattutto molto personale sia per il taglio scelto che per l'inedita prospettiva).
Danilo Monte (il regista) si confronta infatti col fratello più giovane (tossicodipendente) durante un viaggio in treno alla volta di Auschwitz che diventa la meta di un percorso a ritroso nel tempo, ma anche un pretesto (o l'occasione) per far venire alla luce le difficili relazioni intercorrenti fra due perone consanguinee ma all'apparenza totalmente incompatibili e che tornano così di nuovo a dialogare e (forse) a riconoscersi perche indiscutibilmente l'obiettivo ultimo non è soltanto quello di ripristinare la memoria (pubblica e privata) e di tenerla viva, ma anche e soprattutto quello di ritrovare (e ricostruire) una relazione perduta.
In viaggio si ride, si urla e si piange, ma soprattutto si parla. Così il viaggio verso Auschwitz diventa anche un viaggio dentro se stessi.
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