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Regia di Daniele Gaglianone vedi scheda film

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di OGM
7 stelle

Una volta tanto, le parole possono molto. Sono l’arma dei deboli, di coloro che non possono agire contro la volontà dei più forti, se non opponendovi la propria determinazione a non cedere, a continuare a rivendicare i propri diritti, a proclamare ad alta voce la verità. Daniele Gaglianone dedica questo documentario alla quotidianità della gente del Val Susa, da anni impegnata nella protesta contro la costruzione della linea ad alta velocità. I cosiddetti NO TAV, balzati agli onori della cronaca solo in occasione degli scontri avvenuti tra i dimostranti e la polizia, sono persone come tante, costrette, però, a dividere il loro tempo tra le ordinarie necessità della vita e la resistenza, per lo più passiva e non violenta, con cui, giorno dopo giorno, tentano di arrestare l’avanzata dei cantieri, la distruzione dei boschi, la deturpazione del territorio. Essere uno di loro significa doversi abituare ad un nuovo tipo di normalità, che include l’attenzione costante per tutto ciò che accade intorno, dalla comparsa di una transenna all’arrivo di una ruspa. C’è chi partecipa alla lotta dai microfoni di una radio, chi rifiutando di presentare la carta d’identità ad uno dei tanti posti di blocco, chi incatenandosi ad una recinzione con un paio di manette comprate al sexy shop.  I mezzi sono semplici, ma vengono utilizzati al meglio, da un enorme numero di individui, nell’ambito di un’azione collettiva che  riesce a unire le risorse con risultati di grande impatto. Nei media, è vero, si parla poco delle innumerevoli  iniziative, occasionali o sistematiche, con cui sessantamila uomini, donne e ragazzi continuano, incessantemente, a difendere il loro mondo:  un pellegrinaggio di preghiera verso un pilone della ferrovia, uno striscione fatto a mano ed appeso al balcone di casa. Le notizie travalicano i confini della valle solo quando si tratta di comunicare il bilancio di qualche incidente: un giovane manifestante caduto da un traliccio, un uomo raggiunto al volto da un razzo sparato dalle forze dell’ordine. Il primo, proprietario di un appezzamento destinato a sparire. Il secondo, un carabiniere in congedo. Questo film ci spiega le loro ragioni tramite le loro testimonianze dirette, il racconto vivo di ciò che pensano e che provano di fronte al danno che stanno subendo, e all’atteggiamento tenuto dal resto d’Italia rispetto al loro problema. Non mancano le accuse, più o meno circostanziate, rivolte soprattutto contro le autorità politiche e giudiziarie, ma anche contro i cittadini che, pur dando loro ragione, non si mobilitano, né si schierano apertamente dallo loro parte. Qui è un flusso di idee, di fatti, di speranze e timori, che irrompono sullo schermo come espressioni genuine, spontanee e limpidissime di volti che si offrono a lungo all’obiettivo, senza mostrare alcuna inibizione, alcuna incertezza. Sono i ritratti di una naturalezza del dire che sgorga dalla chiarezza di intenti e da una coscienza tranquilla, in una battaglia combattuta un po’ per sopravvivere, un po’ per non perdere ciò che si ama.

 

scena

Qui (2014): scena

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