Regia di Giancarlo Soldi vedi scheda film
Sono andata a vedere questo film pur non essendo una fan di Dylan Dog. Sono andata a vedere questo film pensando di dover vedere e ascoltare la storia sulla nascita del famoso fumetto.
Invece mi sono ritrovata davanti ad un film che racconta prima di tutto di un uomo. Un uomo che è anche un artista di talento, e la presenza di Dylan Dog serve solo per comprendere meglio chi è effettivamente Tiziano Sclavi.
Il film è girato in due momenti storici distanti tra loro, visivamente questo stacco temporale è sottolineato dal colore utilizzato nelle immagini, dai forti contrasti... quasi fumettistici.
Da una parte ci sono i racconti di chi Tiziano Sclavi lo ha conosciuto, dei suoi amici e colleghi di lavoro, di semplici conoscenti, di chi l'ha “sfiorato” durante il suo periodo di maggior successo o di lettori appassionati di Dylan Dog.
Dall'altra c'è Tiziano Sclavi che si racconta, alla sua maniera, con quella autoironia che lo contraddistingue, venata sempre da una malinconia persistente e pesante.
Sclavi ricorda brevemente la sua giovinezza, i primi passi nel mondo dell'editoria, i suoi esordi al “Corriere dei piccoli”, il suo pessimo rapporto con la madre.
Chi ha lavorato con lui, chi l'ha “scoperto” lo ricorda come geniale, unico. Unico per come scriveva le storie, per come collaborava con i suoi disegnatori, per come “partoriva” le storie di Dylan Dog.
Intanto la regia di Giancarlo Soldi intervalla i racconti con le “visioni” Dylandogghiane: balene che volano sulla città deserta di Milano, ombre di bambini che si insinuano tra i muri delle case.
Tiziano Sclavi continua a parlare nella sua casa isolata - “ora quando esco ho scoperto cosa è il buio... quello che non fa vedere niente, che ti inghiotte...”-; parla tenendo in braccio i suoi cagnolini con alle spalle un grosso gatto nero dagli occhi gialli che pare volerlo proteggere da ogni intrusione maligna.
Improvvisamente, come uno schiaffo arriva la “confessione” di Sclavi: “Ho dovuto smettere di scrivere per smettere di bere, sono un alcolista”. Personalmente non sapevo questa cosa, mi ha tramortita. Tutto quello che è stato detto in precedenza prende una forma diversa, Sclavi è riuscito ancora una volta, mischiando racconti e realtà, a mantenerci attenti e presenti, a farci partecipi.
Alcuni brani di Dylan Dog vengono letti supportati da immagini visionarie e bellissime, vita e finzione si mescolano. Tiziano Sclavi si vestiva come Dylan Dog, doveva bere per continuare a scriverlo, per sopportare l'enorme successo e le conseguenti responsabilità. Tutto diventava angoscia e pesantezza: le continue battute per Groucho, il tempo infinito dedicato alla stesura della storia - “andavo avanti 10 pagine per volta” - la stanchezza nel dover affrontare quotidianamente i propri demoni e metterli su carta.
Ora Sclavi vive in solitudine, non ha intenzione per ora di uscire dal proprio rifugio, ha trovato (spero) un suo equilibrio e lascia a noi “le nostre cazzate” della vita di tutti i giorni.
Questo non è un film per fan, o non solo per lo meno, è un film su un uomo.
Giancarlo Soldi ha avuto la capacità di saperlo raccontare, di lasciarlo raccontare, con molto rispetto e sensibilità. Riuscendo a mostrare anche un suo pezzetto di mondo fantastico, quello a cui lui è sicuramente legato e che ama raccontare con i suoi film.
Bellissime le musiche di accompagnamento di Ezio Bosso, che sottolineano perfettamente l'atmosfera che si viene a creare lungo la storia.
Molti i volti noti e meno noti che raccontano Sclavi: Dario Argento, Stefania Casini (che è anche la produttrice del film), Thony, Giovanni Soldini, l'editore Bonelli, Sergio Castellito... e molti altri. Ma è Tiziano Sclavi che ruba la scena a tutti, con la sua sola presenza, le sigarette accese, la voce quasi sorniona, con l'aria di non credere nemmeno lui a quello che gli è capitato. Mi piace molto quando è in compagnia dei suoi animali - “che sono meglio delle persone” -, quando passeggia per la casa e distrattamente ci mostra il veliero di Dylan Dog, quando sfoglia alla fine i tanti disegni delle sue storie.
Pare che da un momento all'altro possa entrare nella stanza proprio lui, Dylan Dog, ma forse è già nella stanza... anzi, sicuramente sì!
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