Regia di Mario Sesti vedi scheda film
In un recente commento ad un film italiano, il teorico dello stracult Marco Giusti (che leggo spesso col solo obiettivo di trovarmi sempre pacificamente in disaccordo con ciò che sostiene) ha proposto di proibire l’utilizzo delle canzoni di Lucio Dalla nel cinema d’autore nostrano. Al di là della provocazione, è innegabile che la morte del grande artista bolognese abbia rinnovato un’attenzione popolare nei confronti della sua musica, qualche volta in maniera forse strumentale ma comunque generalmente dominata da una sincerità non di rado toccante. Le canzoni di Dalla sono tornate alla ribalta, come quasi sempre accade post mortem (e tutto sommato non c’è niente di negativo in questo fenomeno), hanno trovato un pubblico giovane capace di connettersi con quell’universo pregno di leggerezza e malinconia.
Senza Lucio arriva a tre anni dalla scomparsa di Dalla e in questo triennio s’è parlato molto di lui, tra omaggi di colleghi, outing mai fatti e beghe testamentarie. La scelta capitale di Mario Sesti, valoroso operatore culturale (critico e giornalista, curatore e direttore di festival e rassegne, occasionalmente regista), sta nella volontà di mettere al centro la testimonianza diretta di Marco Alemanno, compagno di vita di Dalla negli ultimi quindici anni, senza mai riprenderne il corpo se non in un filmato di repertorio privato. La voce di Alemanno attraversa le prime immagini del film, meravigliosi paesaggi marittimi e brulli d’una Puglia rappresentata con qualche cedimento al lirismo un po’ cartolinesco, ed ammetto di non aver del tutto amato questo incipit così incontrovertibilmente privato.
Il film, quindi, si propone in principio come l’atto d’amore di Alemanno nei confronti di Dalla, tant’è che le testimonianze che arrivano dopo sembrano prendere una strada differente rispetto al legittimo ritratto intimo impostato dalla sua voce sofferta ed appassionata. Gli unici che sono su quella lunghezza d’onda appaiono nel finale, quando la voce di Alemanno ricompare per chiudere il cerchio: tra tutti voglio citare le amiche d’infanzia Paola Palladino, autrice di 4 marzo 1943, e Piera Degli Esposti, che offre il contributo più bello perché schietto, lieto, emozionatissimo. Ma, accanto al curiosissimo Paolo Nutini che ammette la propria ammirazione per Dalla, non è un caso che gli interventi più autentici provengano dai non-famosi (la factotum delle Tremiti, l’albergatore di Sorrento) e dalla coppia Assante-Castaldo che aiuta a focalizzare storicamente il personaggio.
Gli altri, dai Servillo a Palladino passando per Arbore, partecipano ovviamente con sincerità ma aggiungono poco alla scrittura di un documentario che non sa se essere emotivo o didattico, affettuoso o esplicativo, rievocativo o personale. È un’operazione cinematografica più commossa che commovente ma limpida e corretta, che piace perché fondamentalmente onesta. Anche se, all’uscita dalla sala, molti, comunque soddisfatti, si chiedevano il motivo per cui la voce di Lucio non si sentisse quasi mai. Probabilmente l’intento di Sesti era proprio far sentire l’assenza della persona fisica (compresa la voce) e la persistenza nella comunità. Però quel pubblico voleva ascoltare la voce di Dalla. E allora confermo la tesi: ora emotivo, ora esplicativo, Senza Lucio, pur godibilissimo, manca di una linearità programmatica che lo renda davvero memorabile come l’oggetto del suo racconto.
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