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I tre giorni del Condor

Regia di Sydney Pollack vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su I tre giorni del Condor

di Inside man
10 stelle

Come si cambia a volte! Fino ad un decennio fa, confesso di aver fatto parte della maggioranza che lo considerava semplicemente un buon prodotto di genere. Ma il tempo, sulla mia percezione, ha giovato fortemente a “I tre giorni del Condor”, indubbiamente il miglior esempio cinematografico di quella stagione storica statunitense, presto dimenticata, del dopo watergate. L’ho trovato, ad ogni nuova visione, sempre più vigoroso, convincente, mai invecchiato, tanto da persuadermi di essere prima un classico ed ora un capolavoro. L’epoca delle dimissioni di Nixon, della fuga dal Vietnam, della stagione dei golpe pilotati in Sudamerica, delle strategie delle tensioni indotte in Europa, fino al sequestro-shock dell'ambasciata in Iran, fu, per gli americani che avevano creduto in un “mondo migliore”, un periodo di forti delusioni ideali e disillusioni politiche (la celebre frattura fra società e classe dirigente), origine d’una crisi d'identità sfociata poi misteriosamente nei contraddittori e contagiosi entusiasmi dell’edonismo reaganiano. Pollack, ispirandosi alle confessioni di alcuni ex appartenenti della Cia anni “70 (Agee e Marchetti), rivelanti i modi d’agire illegali, sprezzanti e spesso crudeli dei servizi segreti, riesce a realizzare non solo una spy-story di gran classe, ma un’opera paradigmatica di tale atmosfera, richiamando uno spaccato torbido e diffidente di una società reduce dalla sconfitta delle speranze (Bob) kennediane (e la domanda finale: “sei sicuro che i giornali lo pubblicheranno?” è simbolo inquietante e premonitore dell'imminente restaurazione). Oltre ai meriti storici, la pellicola annovera pregi cinematografici tanto elementari quanto essenziali. Un plot realistico ed originale divenuto in seguito clichè per i film spionistici, una sceneggiatura capace di modulare fluidamente un complesso intreccio, integrando perfettamente l’anomalo intermezzo della Dunaway, ed una regia invisibile, lineare, “monicelliana”, votata alle mille sfumature dei personaggi, egregiamente caratterizzati da una frase, un'espressione, un singolo sguardo. Sono proprio gli interpreti un altro evidente punto di forza. Redford offre una delle sue migliori prove nel ruolo dell’agente di contorno, sopravvissuto alla propria squadra, ingegnatosi improvvisamente "Condor" più astuto degli esperti e spietati ex colleghi; la Dunaway è bravissima nel tratteggiare una parte introversa dominata da sottintesi, e Von Sidow giganteggia nei panni del gelido killer minimalista e filosofeggiante, prendendosi, con poche battute nel finale, l’intera scena come solo a pochi attori di talento innato è consentito. Film tradizionale, schietto, ineccepibile, a lungo sottovalutato. Con le dovute differenze di genere e realtà cinematografica, il parallelo stilistico e di traversia critica con i capolavori di Monicelli mi pare assolutamente appropriato.

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