Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
Il ricordo non dà nessun conforto quando è freddo, morto, distante. Quando dall’esistenza scompaiono l’amore e la speranza, il passato è come un vento gelido, che irrompe nella desolazione del presente aggravando l’imperante tristezza col peso di vecchi dolori. Il tempo e la lontananza consumano i legami e creano deserti, trasformando gli amici e i familiari in estranei. Il calore della vicinanza non resiste al passare degli anni e al separarsi delle strade individuali. Nulla rimane di ciò che una volta sembrava bello, semplice e profondamente vero: è questa la peggiore disillusione che ci è inflitta dalla vita. Gli anni di piombo - l’epoca del terrore sociale e della sfiducia nelle istituzioni - offrono lo sfondo ideale a questa storia di certezze perdute, sospesa tra l’eredità morente di una cultura contadina (il ritorno dei protagonisti al paese natio, che crea solo imbarazzo) e il disincanto per una mancata promessa di progresso, drammaticamente sancita dalle piaghe della realtà cittadina (il dilagare della criminalità, il disagio giovanile, la disgregazione familiare, le tensioni sindacali). Non si intravede nessuna via d’uscita, né guardando avanti, né voltandosi indietro.
Francesco Rosi imbastisce una storia dura, asciutta e sfilacciata come un tessuto di paglia grezza; l’atmosfera è vuota e incolore, sia tra le pietre candide della campagna pugliese, sia tra le grigie pareti delle metropoli. Il gelo è talmente uniforme, inerte e onnipresente da non arrivare nemmeno più a condensarsi in brividi; l’umanità non freme più, né di paura, né di desiderio, perché giace ormai abbattuta, tra lacrime, esplosioni di violenza e solitudine.
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