Regia di Franco Rossi vedi scheda film
Un capolavoro senza tempo ancora ineguagliato.
Musa, quell'uom di multiforme ingegno
Dimmi, che molto errò, poich'ebbe a terra
Gittate d'Ilïòn le sacre torri;
Che città vide molte, e delle genti
L'indol conobbe; che sovr'esso il mare
Molti dentro del cor sofferse affanni,
Mentre a guardar la cara vita intende,
E i suoi compagni a ricondur: ma indarno
Ricondur desïava i suoi compagni,
Ché delle colpe lor tutti periro.
Stolti! che osaro vïolare i sacri
Al Sole Iperïon candidi buoi
Con empio dente, ed irritâro il nume,
Che del ritorno il dì lor non addusse.
Deh! parte almen di sì ammirande cose
Narra anco a noi, di Giove figlia e diva.
(Odissea, Libro primo, versi 1-16)
L'Odissea è forse la storia più bella mai raccontata (e se il giudizio dipendesse unicamente dal parere dell'autore di questa recensione, il "forse" sarebbe di troppo), l'archetipo del viaggio per mare e non solo, a tal punto da entrare nel lessico comune per indicare metaforicamente il fantasmagorico errare di coloro che si ritrovano sballottati a distanze siderali da casa, in balia di forze superiori e ostili e che vivono avventure incredibili e sovente al di là della comprensione umana. Il fascino del secondo poema di Omero (ma sarà veramente il suo poema? Lo sarà in parte o del tutto? Quanti hanno contribuito a tramandare, forse modificando e arricchendo, i 24 libri di cui è composto? Sempre che Omero sia esistito veramente, cosa di cui mi piace convincermi) e la sua fama superano di gran lunga quelli del primo, l'Iliade (non me ne vogliano gli appassionati, ma non ho vergogna ad essere spudoratamente di parte). La sezione centrale del poema, quella dedicata al lungo flashback in cui Ulisse narra ai Feaci le sue peripezie per mare seguite alla caduta di Troia, è un susseguirsi continuo di incontri stupefacenti con creature di origine divina e con veri e propri mostri, un alternarsi di peripezie dal fortissimo fascino esotico che tratteggiano un immaginario ricco e seducente. Non è da trascurare neanche la prima parte, la cosiddetta Telemachia, il cui personaggio centrale è Telemaco (il figlio di Ulisse), ma in cui l'aura dell'eroe scomparso aleggia costantemente sulla narrazione creando una crescente aspettativa nel lettore/ascoltatore, poi premiata nel quinto libro. E come non parlare della parte conclusiva, quella del ritorno dell'eroe ad Itaca e della sua temibile vendetta sui perfidi Proci. Ma ciò che rende veramente unica l'Odissea è il personaggio che le dà il nome, Odisseo (o Ulisse). E non è un caso che mentre l'Iliade prende il nome da Ilio (Troia), la città che è la vera protagonista del rispettivo poema, l'Odissea invece si fregi del nome del proprio insuperabile protagonista. In confronto a quest'ultimo, gli eroi dell'Iliade appaiono sbiaditi. Ulisse, nonostante non abbia origini divine e non sia pressoché invincibile come Achille, eccelle fra tutti gli altri eroi greci: il suo carisma è eguagliato solo dalla sua umanità, il suo coraggio dalla sua proverbiale astuzia, la sua intelligenza solo dalla sua insaziabile sete di conoscenza. Egli è costantemente in lotta tra la nostalgia di casa e la mancanza della moglie amata da una parte e la curiosità di scoprire nuovi popoli e riuscire là dove tutti gli altri uomini hanno fallito dall'altra. Nonostante la protezione di Atena, il suo viaggio rappresenta la continua sfida posta dall'uomo agli dei immortali, il guanto di sfida gettato in faccia ad ogni avversità, la mente grandiosa che non si piega neanche di fronte all'atroce sofferenza causata dalla lontananza forzata dalla patria e dalla famiglia e dalla perdita dei cari compagni.
Riuscire a trasporre sul mezzo televisivo una tale storia senza banalizzarla e soprattutto senza snaturarne lo spirito è un'impresa che è stata tentata da pochi e che, a posteriori, è riuscita compiutamente solo alla Rai, a Dino De Laurentiis e al regista Franco Rossi nel 1968. Lo sceneggiato in questione (diviso in 8 puntate da circa 50 minuti l'una) è uno dei capolavori assoluti della televisione italiana, una trasposizione che, se si eccettuano alcune modifiche ed omissioni (la più importante quella del passaggio tra Scilla e Cariddi) dovute più che altro alla limitatezza dei mezzi di allora, è straordinariamente fedele nella forma e ancora di più nella sostanza al poema di Omero. Introdotta da un prologo dal sapore documentaristico, nel quale la voce narrante dell'esimio Giuseppe Ungaretti accompagna le immagini degli scavi archeologici della città di Troia nell'odierna Turchia, la trama segue pedissecuamente l'ordine degli eventi come presentati sulla carta, avvalendosi anche degli effetti speciali di Mario Bava (regista dell'episodio dedicato all'incontro col ciclope Polifemo) e Carlo Rambaldi quando necessario. Mentre le scene in interno sono state girate presso gli studi di De Laurentiis a Roma, le riprese in esterno ci mostrano gli stupendi paesaggi costieri della ex Jugoslavia. Le stelle che più brillano nel ricco cast internazionale sono quelle del kosovaro Bekim Fehmiu e della greca Irene Papas, chiamati ad interpretare Ulisse e Penelope. Mai scelta fu più azzeccata: entrambi, con il loro fascino tipicamente mediterraneo, sembrano usciti dalle pagine stesse dell'opera e trasportati sullo schermo proprio come furono partoriti dall'immaginazione di Omero. Ma non è certo solo il loro aspetto a renderli perfetti nei rispettivi ruoli: Bekim Fehmiu è totalmente assorbito nella parte, il suo sguardo e i suoi gesti catturano perfettamente l'essenza del personaggio di Odisseo al punto che, una volta visto lo sceneggiato, sarà impossibile figurarsi l'eroe omerico con una faccia e una fisionomia diverse dalle sue. Irene Papas appare in tutto e per tutto la donna triste e malinconica ma al tempo stesso risoluta e intelligente che è Penelope, a cui è stata capace di infondere anche un tocco di dolcezza. La regia di Franco Rossi è più che adeguata, capace di trasmettere il fascino esotico dell'avventura e l'attrazione per l'ignoto oltreché la tensione e il senso di minaccia incombente che si respira in più passaggi, ma anche il sentimento che trasuda da personaggi profondamente umani e perciò indimenticabili nella loro fallibilità e perseveranza.
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