Regia di Robert Altman vedi scheda film
Millie lavora in una clinica geriatrica, è convinta di avere una brillante vita sociale e non si accorge che nessuno bada a lei; la collega e coinquilina Pinky la osserva, ammirata e intimidita, sognando di essere come lei; Willie gestisce un bar insieme al marito fedifrago, dipinge murales e non dice una parola. Storie di esistenze alla deriva nell’America profonda, inconsapevoli persino che da qualche parte potrebbe esserci un approdo. Altman racconta di aver concepito il soggetto durante un sogno, e in effetti la parte finale sembra avvolta in una bruma (non solo per questioni di fotografia) dalla quale si esce per ritrovarsi in una strana comune utopica dove gli uomini sono stati espulsi. Però preferisco la parte iniziale, più realistica, punteggiata di piccole scene buffe che definiscono i caratteri anche senza che succeda nulla di decisivo. Ottima prova di Shelley Duvall e Sissy Spacek, texane purosangue e facce anni ’70, nei ruoli speculari di due donne che hanno lo stesso nome (Mildred) e che si scambiano le personalità dopo un evento traumatico; Janice Rule, quasi al termine di una carriera mai veramente decollata, lascia finalmente il segno. Film visionario, misterioso, magnetico.
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