Regia di Daniel Lee vedi scheda film
Conflitti dinastici e tradimenti si concentrano sulla tanto contesa via della seta, fulcro dei commerci tra Ovest ed Est, ovvero tra due mondi o pianeti. Ma al film tutto questo non interessa, preferendo perdersi nei luoghi comuni di un peplum infarcito di falso patriottismo, lacrime e sdolcinature devastanti,con tre divi da paura...proprio paurosi
La via della seta è stata una pista carovanica tracciata nella notte dei tempi ed utile per oltre duemila anni di proficui commerci tra Occidente e l'estremo Oriente, ed in seguito tra Europa e Cina, in particolare.
Già dunque ai tempi del fulgore dell'Impero Romano la via costituiva per quel popolo uno strategico sbocco ove dar luogo a commerci e scambi di ogni tipo di bene, facendo nascere una sorta di primo, timido effetto di globalizzazione, fenomeno che oggi dilaga in modo dirompente, se non devastante.
Lungi da considerazioni civico-economiche di questo tipo (come è peraltro anche lecito che sia), questa produzione cinese diretta con nessuna fantasia o estro originale, ma tanta tronfia ridondanza dal cineasta di Hong Kong Daniel Lee, si concentra sulle gesta di un generale romano Lucius, che diviene amico con il capo dell'esercito posto dall'Imperatore cinese a difesa di quella preziosa via commerciale, mentre si trova in fuga con l'ultimogenito del suo imperatore, ucciso durante una cospirazione dal malefico figlio maggiore Tiberius, folle di potere, megalomane e sanguinario.
Quando il malvagio nuovo governante parte con un esercito in gran forze per eliminare il resto della sua stirpe ed il generale che ha osato tener fede al suo originario imperatore, la via della seta, gia luogo della costruzione di una città fiorente e fortificata rasa al suolo prima ancora di essere ultimata, diviene un vero e proprio epicentro di conflitti tra popoli, in cui la difficoltà spingerà i più razioconanti fra essi, ad unirsi per sgominare la cattiveria del folle romano, assetato di sangue e di potere.
Sulla carta interessante, il film, completamente privo di anche un cenno lontano di ironia, si lascia imbastardire ed affossare da una vena di tronfio patriottismo, un orgoglio eroico fine a se stesso e una melensaggine decisamente fuori luogo, ricca quest'ultima di sentimentalismi e melasse ricattatorie, con scene scult di bambini saggi ed illuminati, accecati dal cattivo che cantano inni al valor patrio e si immolano per la causa, o amicizie virili che si suggellano con la morte volontaria donata all'amico per evitargli una fine ancor pià dolorosa e lancinante.
A completare lo scempio, una triade attoriale al suo peggio storico: già Adrien Brody, che di suo mi piace parecchio e cinserva potenzialità espressive di livello, sono circa dieci anni che non azzecca più un film, facendosi protagonista di una ricerca quasi sadica di copioni da castrazione (ma ce l'ha un agente quest'uomo???); John Cusack, un tempo ironico e brillante, ora bolso da parecchio pure lui, e qui tutto mascara negli occhi e cerone, è ahimé davvero ridicolo ed impresentabile.
Jackie Chan, che nei titoli di coda appare pure come responsabile della regia delle scene d'azione, è come Topolino: ride e sogghigna anche quando soffre e sta morendo, e ripete da sempre il suo solito personaggio macchietta tutto scatti e calcetti saettanti: meglio allora, ed è proprio il triste momento per citarlo a pochi giorni dalla scomparsa, il vecchio e caro Bud Spencer: lui almeno, nella costanza irremovibile del suo ruolo, possedeva quell'ironia e quello "scazzo" meravigliosi che lo rendevano plausibile ed opportuno, oltre che simpatico ed indimenticabile, anche se sempre coinvolto nelle medesime situazioni e scazzottate.
Qui la sceneggiatura si fa del male con uscite autolesioniste del tipo:
" La forza è un concetto che serve a rivelare i nostri limiti" - o ancora "Un vero eroe va fino in fondo", per non parlare di "Trovi un amico oggi, ne perdi uno domani, ...a che serve tutto ciò?... finissima ironia....
fino al lapidario gran finale ove appare la scritta "trasforma i nemici in amici".
Questo solo per citare, più o meno alla lettera, a che livelli di manierato detestabile buonismo ci troviamo in questa produzione.
Il Gladiatore ha aperto la strada verso un ritorno di un genere, il peplum, generaldo di certo i suoi pro, ma pure i suoi molti contro. In questo caso manca davvero un regista che limiti i danni come certamente avrebbe fatto il quasi sempre grande Ridley Scott, ma manca anche la voglia di scrivere qualcosa di minimamente intelligente e plausibile che eviti di trasportare stupidamente e con disarmante faciloneria periodi storici del nostro passato assimilandoli al comportamento e all'atteggiamento dell'uomo dei giorni nostri. Comportamenti del genere non possono che indurci in tentazione di uscire dalla sala ogni cinque minuti di racconto.
E intanto ci viene nostalgia di quei tentativi solo apparentemente stolti che hanno tuttavia il coraggio di buttare tutto in farsa, sulla scia dell'impossibile ed oltraggioso, ma per nulla pessimo, Thermae Romae.
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