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La hija natural

Regia di Leticia Tonos vedi scheda film

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La recensione su La hija natural

di OGM
7 stelle

Raccontare. Può essere un’attività tanto legata alla realtà del mondo da diventare selvaggia. Restare attaccati alla terra, scavare nelle radici, significa far affiorare la parte più occulta e primitiva del nostro essere. Così la poesia dei sentimenti arriva a scoprire il proprio lato barbaro, offuscato dalla nebbia dell’istinto e dall’ombra della superstizione. Questa vicenda di povertà, alchimia, amore e rancore, ambientata nel contesto rurale della Repubblica Dominicana, ha l’aspetto opaco e polveroso delle favole che parlano del bene dibattendosi nelle spire del male, che è magari nascosto, però onnipresente, costantemente sul punto di palesare il suo volto mostruoso. Certi luoghi sono infestati dai fantasmi e dalle maledizioni familiari, prima ancora che dalla miseria. Allora si guarda all’invisibile per trovare un senso alla desolazione materiale. Si pensa ai bisogni del corpo, ma intanto si chiede aiuto al regno delle anime, per poter decifrare un percorso esistenziale tortuoso, disseminato di domande senza risposta, di persone scomparse, di torti mai riparati. La piccola Maria non ha mai conosciuto suo padre; sua madre Juana, che era sta sua amante e poi era stata abbandonata, non vuole sapere più niente di quell’uomo, che le aveva taciuto di essere sposato, che l’aveva crudelmente illusa. La donna e la figlia abitano in una baracca, ai bordi di una strada carrozzabile non asfaltata, e priva di protezione. Maria ha fame, forse è per questo che le piace tanto mangiare le coccinelle. Un giorno, mentre è intenta a catturarne una, rischia di essere travolta da un bus di passaggio. Questo episodio è il preludio di una grande disgrazia che l’aspetterà, di lì a pochi anni. E anche quella sua morbosa passione per gli insetti è il segno di una verità sotterranea, che segnerà il resto del suo percorso. In quel villaggio formato da poche case di legno e lamiera, non accade quasi mai nulla, ma è incessante lo sforzo di leggere gli eventi, di trarne messaggi provenienti dall’aldilà, moniti e consigli diretti ai vivi. Dove non ci sono le sentenze delle streghe, ci sono le dicerie della gente. La superstizione determina le inimicizie e le alleanze, regolando la vita dell’intera comunità. In mancanza di un domani certo, ci si rivolge al passato, a ciò è stato, e non potrà mai più essere: ciò che è morto e sepolto viene eletto a divinità, consultato come un oracolo, secondo pratiche ed interpretazioni inventate di sana pianta.   In questo modo, però, si rimane avvolti dal buio: per tornare alla luce, occorrerà abbandonare le suggestioni individuali e recuperare le prove concrete di quanto è realmente successo. Maria intraprende questa sfida senza rendersene conto, lei che è ancora soggetta all’incanto delle cose eterne, che non smettono mai di esistere, anche se sono impalpabili: ad esempio, un profumo attaccato ad un vestito smesso, che qualcuno a lei caro aveva conservato come un feticcio, come il ricordo di una favola finita troppo presto. La brutalità del destino si esprime tramite le storie interrotte, le speranze lanciate in volo e poi abbattute, le bugie e le ingiustizie che cancellano la gioia e uccidono il futuro. Le uova appena deposte marciscono, e non si sa perché. Un ragazzino corre, sulla scia dell’entusiasmo, e si ritrova zoppo. Emilia voleva essere madre, invece è sterile, è malata, destinata a morire giovane. In presenza dell’inspiegabile serve un alibi, un capro espiatorio. C’è un uomo di nome Joaquín al quale vengono addossate tutte le colpe. È il bersaglio di tutto l’odio, di tutta la diffidenza, di tutta la paura. La sua salvezza si chiama Maria. Ma la religione, questa volta, non c’entra. Almeno non quella ufficiale. La fonte della sua forza soprannaturale non è il cielo; quell’energia nasce dal sinistro tumulto delle credenze sbagliate, da un oscurantismo agreste che ribolle di terrore, però non teme il confronto con la limpidezza della coscienza. La hija natural è una fiaba silvestre, che cela pudicamente le sue profondità dietro il velo romanzesco di una telenovela, di cui, nel finale, fa deflagrare lo spirito romanticamente liberatorio. Per il resto  mantiene la sua essenza, genuina ed inquietante, entro i confini di una discrezione allusiva ed evanescente, sfumatamente rivelatrice, come i misteriosi spettri che la popolano.

 

Questo film ha rappresentato la Repubblica Dominicana agli Academy Awards 2012. 

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